
di CARLO MIGNOLLI
Il 1° novembre alle ore 21:00, il Teatro Politeama di Catanzaro ospita uno degli appuntamenti più attesi della stagione teatrale della 22ª edizione del Festival d’Autunno, ideato e diretto da Antonietta Santacroce: il ritorno del Balletto del Sud con “Romeo e Giulietta”, nella celebre partitura di Sergej Prokof’ev.
La coreografia porta la firma di Fredy Franzutti, fondatore e direttore della compagnia, tra i più apprezzati coreografi italiani a livello internazionale. La sua versione del capolavoro shakespeariano, creata nel 1998, si distingue per una visione originale: la tragedia dei due giovani amanti è trasposta nell’Italia violenta e retriva degli Aragonesi, ispirandosi al racconto di Masuccio Salernitano, che per primo narrò la vicenda degli infelici protagonisti.
Le scene di Francesco Palma, ispirate ai dipinti di Giotto, Piero della Francesca e Cimabue, proiettano lo spettatore in un universo visivo sospeso, bidimensionale e poetico, dove la danza incontra la pittura in un dialogo di armonie e contrasti. I costumi, filologicamente ricostruttivi dell’età umanista, e il fascino arcaico delle atmosfere completano un allestimento che coniuga rigore storico e sensibilità contemporanea.
Il coreografo Fredy Franzutti ci ha parlato della genesi di questo allestimento, del linguaggio coreografico che lo caratterizza e del duraturo successo di un balletto capace di emozionare generazioni di spettatori.
L’INTERVISTA
Maestro Franzutti, “Romeo e Giulietta” in scena con il Balletto del Sud al Festival d’Autunno di Catanzaro. Cosa la spinse, nel 1998, a creare una versione ambientata nell’Italia degli Aragonesi. In che modo questa trasposizione storica nel Meridione d’Italia cambia il significato o la lettura della tragedia di Shakespeare?
«La motivazione è che Shakespeare è, in realtà, il terzo autore di questa storia. Il primo a scriverla fu Masuccio Salernitano, segretario di un nobile salernitano, circa duecento anni prima di Shakespeare; poi venne Bandello, il genovese, e solo dopo arrivò il grande drammaturgo inglese. Naturalmente non si tratta di una gara di primati: se la versione di Shakespeare è la più conosciuta, significa che è anche la più riuscita. Tuttavia, l’intuizione dell’amore impossibile tra i figli di due famiglie rivali, gli omicidi e il suicidio legato al filtro d’amore nascono proprio dal racconto di Masuccio».
Quindi lei riporta la vicenda al suo “prototesto”, recuperando una radice meridionale della storia?
«Esattamente. Fin dalla fondazione della mia compagnia, nel 1995, la mia ricerca - e il nome stesso Balletto del Sud lo testimonia - è sempre stata quella di intercettare i legami tra la grande cultura europea e il Sud d’Italia. In questo senso, anche Romeo e Giulietta passa attraverso questa griglia di connessioni culturali, restituendo alla vicenda una sua identità mediterranea».
Parliamo ora della musica. La partitura di Sergej Prokof’ev è tra le più potenti e drammatiche del Novecento. Come dialoga la sua coreografia con questa musica?
«La musica di Prokof’ev è una musica del Novecento: apparentemente classica nella forma, ma intrisa della consapevolezza della guerra, della violenza e della morte. È una musica dinamica, mai statica o leziosa. Prokof’ev conosce la brutalità della guerra e la trascrive in una partitura di enorme energia drammatica, che rappresenta perfettamente il nuovo secolo europeo. La mia coreografia ne segue il ritmo, la tensione e la forza narrativa, restituendo questa dimensione tragica attraverso il movimento».
Le scene di Francesco Palma, ispirate a Giotto, Piero della Francesca e Cimabue, creano un mondo “bidimensionale”. Come si inserisce la danza in un contesto visivo così stilizzato e sospeso? Quanto conta per lei la “composizione visiva” nel racconto coreografico?
«La componente visiva è fondamentale. Tutta la parte coreografica, i costumi e le luci sono evocativi di quel tipo di pittura che definiamo bidimensionale, perché la tridimensionalità non era ancora stata “inventata”: si lavora su una prospettiva piatta. Usiamo le linee trasversali in modo creativo, e per esaltare questa idea modifichiamo anche la struttura del palcoscenico, eliminando quinte e soffitti per lasciare la struttura nuda del teatro. Su questo spazio neutro “volano” e scorrono i quadri ispirati a Giotto, Cimabue e Piero della Francesca. È una scena che si compone e scompone davanti allo spettatore, un po’ come accadeva negli spettacoli medievali».
Raccontare una storia come “Romeo e Giulietta” comporta il rischio di cadere nel già visto. Come ha affrontato questo aspetto?
«È una domanda che, in realtà, l’artista non si pone. Il pubblico desidera rivedere ciò che conosce, perché gli agganci emotivi nascono proprio da quella riconoscibilità. Non rifuggo dal cliché, perché se volessi evitarlo non avrebbe senso rappresentare Romeo e Giulietta. Se volessi creare qualcosa di completamente nuovo, farei un altro spettacolo. Mi riferisco a prospettive iconografiche e narrative classiche - la morte, la resurrezione, il filtro di Giulietta - che vengono però rilette attraverso linguaggi contemporanei. È un equilibrio tra tradizione e attualità: l’importante è che il pubblico riconosca il cuore della storia».
Parliamo adesso del Balletto del Sud. Lei ha sempre mostrato attenzione per la tradizione mediterranea e il patrimonio culturale del Sud. Quanto incide questo radicamento geografico e culturale sul suo modo di fare danza?
«Sicuramente molto. I presupposti narrativi del Meridione sono vastissimi, ma per un coreografo della mia generazione restare sempre dentro la griglia dei quattro o cinque grandi titoli del balletto può risultare un po’ limitante. È naturale desiderare di raccontare anche altro, di esplorare nuove prospettive narrative, perché i testi e le fonti sono infiniti. Tuttavia, il botteghino e il pubblico richiedono spesso un ritorno ai classici: la cosiddetta “zona comfort”, che in tempi di crisi economica tende a riaffermarsi».
Quindi lei vede questo ritorno al classico come un limite o un’opportunità?
«Direi entrambe le cose. “Purtroppo”, perché limita la sperimentazione, ma anche “per fortuna”, perché permette alle nuove generazioni di scoprire per la prima volta certi capolavori. Romeo e Giulietta, ad esempio, non è poi così rappresentato nel repertorio dei balletti. Il mio obiettivo è trovare un equilibrio tra il vecchio classico e il nuovo classico rivisitato. Del resto, Romeo e Giulietta di Prokof’ev non è un classico ottocentesco: è un’opera del Novecento, nata già in un’epoca di post-avanguardia eclettica».
Infine, come vede oggi la scena della danza in Italia? E quale ruolo può avere il Balletto del Sud nel panorama nazionale e internazionale?
«La compagnia oggi è di ottimo livello con ballerini che provengono da ogni parte del mondo. Portiamo i nostri spettacoli in tutta Italia e anche all’estero, con un cast di grande qualità. Per la serata di Romeo e Giulietta avremo interpreti eccellenti, tutti solisti di formazione internazionale, sarà uno spettacolo di alto profilo artistico. Tuttavia, credo che la danza e, più in generale, lo spettacolo dal vivo stiano ancora attraversando una crisi profonda da cui non sono riusciti del tutto a uscire. Serve tempo, fiducia e una rinnovata attenzione del pubblico per restituire alla danza il ruolo che merita. La gente si avvicina, ma poi si allontana, non è costante: questo è il ventennio dei comici. La crisi è arrivata anche nelle scuole di danza e rispetto agli anni ‘80 e ‘90 oggi si balla meno. A livello performativo stiamo avendo una risalita, ma bisogna sicuramente eliminare il concetto che la danza sia uno spettacolo per bambine e famiglie. In realtà è uno spettacolo intellettuale rivolto a tutti, anzi forse mai pensato per bambini che non possono avere quei supporti culturali per affrontare spettacoli del genere».
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