di CARLO MIGNOLLI
Attore poliedrico e volto sempre più riconoscibile del cinema e della televisione italiana, Francesco Colella continua a far parlare di sé per la sua capacità di dare profondità e autenticità a ogni personaggio che interpreta. Nato a Catanzaro, ha costruito una carriera solida e variegata, alternando ruoli nel teatro, nel cinema d’autore e nelle grandi produzioni televisive. Negli ultimi anni, il pubblico lo ha potuto ammirare in svariate serie televisive di successo come ZeroZeroZero di Stefano Sollima e Trust di Danny Boyle, così come in tanti film, tra i quali Padrenostro di Claudio Noce e Lovely Boy di Francesco Lettieri e molti altri.
Colella è tornato sullo schermo nella nuova serie targata Netflix, “Il Gattopardo”, ispirata al capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in cui veste i panni di Don Calogero Sedara, il borghese arricchito, sindaco di Donnafugata e padre di Angelica che incarna l’ascesa della nuova classe dirigente nell’Italia post-unitaria. Un personaggio chiave, contrapposto all’aristocratico Principe di Salina, interpretato egregiamente da Kim Rossi Stuart. Nel cast anche Deva Cassel, che presta il volto alla giovane e ambiziosa Angelica, Benedetta Porcaroli, nel ruolo di Concetta e Saul Nanni, che interpreta Tancredi.
In questa intervista, l’attore racconta in esclusiva ai nostri microfoni il lavoro sul set, il suo approccio a un ruolo così iconico e il significato che “Il Gattopardo” può avere per il pubblico di oggi.
L’INTERVISTA
Parlando del tuo personaggio, Don Calogero Sedara, è un emblema dell’ascesa della nuova borghesia che prende il posto dell’aristocrazia. Come ti sei avvicinato a questo ruolo? Quali sono stati gli aspetti più stimolanti e complessi da interpretare?
«Mi sono dato dei parametri, dei principi per interpretarlo, o meglio, dei compiti. Non volevo che il personaggio fosse solo relegato a quell’epoca, ma che raccontasse qualcosa anche oggi. Per me, Sedara è un prototipo di italiano che ancora oggi esiste e respira tra noi. La sua ridicolaggine è feroce: è un uomo ridicolo e spregiudicato, ma proprio per questo molto pericoloso. Non considera le conseguenze delle sue azioni, che spesso sono nefaste. Di fronte a un ostacolo, che sia una persona o una situazione, lui non lo aggira: lo elimina. E una volta fatto, non si guarda indietro, proseguendo nella sua scalata ossessiva al potere. Ci sono persone come lui che, attraverso l’accumulo di ricchezze e denaro, pensano di poter conquistare titoli onorifici, cariche politiche e persino il controllo sulle vite altrui».
Nel film di Visconti, Paolo Stoppa ha dato a Calogero Sedara una verve quasi teatrale. Nella serie, invece, la tua interpretazione sembra più realistica. Sei d’accordo con questa affermazione?
«Non mi azzardo a fare paragoni con Paolo Stoppa, perché è stato un attore di una modernità straordinaria già allora. Il racconto del Gattopardo di Visconti seleziona fatti ed eventi con una densità poetica maggiore, anche perché è un film e perché è di Visconti. Non so se ho voluto conferire maggiore realismo al mio Sedara. Nel film, la teatralità di Stoppa era una scelta precisa: rappresentava un uomo che, venendo dalla povertà e dalla miseria, cercava di imitare l’aristocrazia, risultando sopra le righe. Ma basta guardare il lampo feroce nei suoi occhi per capire che era una rappresentazione potentissima».
Il cast della serie è straordinario. Com’è stato lavorare con Kim Rossi Stuart, che interpreta il Principe di Salina? Come avete costruito il vostro rapporto?
«Con Kim avevo già lavorato in passato e c’è una grande stima e affetto reciproci. Quando recitiamo insieme, ci riconosciamo e comunichiamo attraverso la recitazione. Kim è un uomo di poche parole sul set, tende a isolarsi per concentrarsi, ma questo non impedisce momenti di confronto. Il vero piacere di lavorare con lui sta proprio nell’atto della recitazione. C’è una scena in particolare, quella finale, in cui i nostri personaggi si confrontano: lì si innesca un gioco e una sfida che ci divertono molto e che ci lasciano esausti, perché mettiamo in campo tutte le risorse interiori. Kim è uno di quegli attori che ti chiedono, implicitamente, di dare tutto».
La serie sta avendo un successo straordinario, è al primo posto tra le più viste su Netflix. Negli ultimi anni sei diventato uno degli attori più versatili del panorama italiano. Ti chiedo: questo ruolo segnerà un punto importante nella tua carriera? E quali sono i ruoli che più ti hanno segnato fino ad ora?
«Non saprei dire se un ruolo è più importante di un altro. Non perdo memoria dei personaggi che ho interpretato, ma una volta che mi hanno segnato, si dissolvono nel mio percorso. Non vedo il mio lavoro come una carriera o un’ascesa, né ci sono per me svolte nette. Lavoro da tanti anni, da quando ero giovane, e nel tempo l’esperienza si è amplificata. Sono cresciuto come persona e come uomo, e tutto questo fa parte del mio mestiere. Se ci sono stati dei punti di svolta, sono stati più esistenziali che lavorativi. Però posso dire che questa esperienza con Il Gattopardo è stata bellissima. Abbiamo girato tra Roma e la Sicilia, in luoghi meravigliosi, con la troupe gigantesca di Netflix. E poi sentivo il dovere di rendere Sedara un personaggio che parlasse anche al presente, evidenziandone le nefandezze, la ridicolaggine e la ferocia, perché è un tipo umano che ancora oggi esiste. Sedara appartiene all’Italia di ieri, di oggi e, probabilmente, di domani».
“Il Gattopardo” racconta grandi trasformazioni storiche e sociali. Cosa può dire oggi al pubblico di Netflix, soprattutto ai più giovani che magari non conoscono questa storia?
«La parte che più mi interessa del Gattopardo è quella legata al potere e alla posizione sociale. Nella storia, il potere è visibile: si vede come Sedara corrompa, uccida, aggiri gli ostacoli pur di accumulare ricchezza e accrescere la propria influenza. È arrogante, forte con i deboli e debole con i forti. Questo tipo di mentalità esiste ancora oggi: l’accumulo di potere e denaro, l’indifferenza verso le istanze umane e sociali. Chi fa politica, spesso, non ha alcun interesse per il bene comune. D’altra parte, anche il Principe di Salina ha le sue ambiguità. Sotto la patina aristocratica, anche lui agisce in modo calcolato: sacrifica la propria figlia per un matrimonio di convenienza e resta quasi indifferente ai moti risorgimentali, preoccupandosi più del suo lasciapassare per la residenza estiva di Donnafugata. La differenza tra i due è che il Principe ha una coscienza, e questa coscienza lo tormenta fino a farlo morire. Sedara, invece, no».
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736