di FRANCO CIMINO
Catanzaro è bella. Non solo per i suoi paesaggi bellissimi per la sua centralità geografica, non solo per il suo clima e i suoi venti, il suo mare e i suoi monti, le sue chiese e i suoi monumenti. È bellissima perché ha una storia, una sua cultura antica. È bellissima perché ha una sua sensibilità. Come una persona anziana, un ragazzo molto giovane. È come un nonno o un bambino. Un nonno che racconta storie al bambino. Il bambino che le ascolta fiducioso. É bella. Come un dipinto, una scultura. É saggia. Come un pescatore un contadino. Catanzaro, però, soffre e non solo per i suoi importanti problemi, che si sono aggravati nel corso degli anni. Non pochi. Non solo gli ultimi. In particolare, di questi ultimi.
Catanzaro soffre per lo stato di umiliazione, di frustrazione e impotenza nel quale si trova. Soffre per la insicurezza che l’avvolge. Per l’oggi, che la minaccia. Come una violenza. Un tradimento. Un abbandono. Come un ricatto. Da rapimento. Da isolamento. Soffre per gli occhi, che di dolore e stanchezza, via via , si accecano di futuro. Catanzaro soffre di disorientamento, di confusione. Si è ammalata di disamore. Di deresponsabiilità. Quella cosa misteriosa per la quale non si mai di chi sia la colpa di una negatività. Appunto, di una colpa verso la propria terra.
La colpa di averle mancato di rispetto. Di non aver dato seguito alla parola data. Di averle preso la fiducia e di non avergliela restituita. La colpa di averle mentito. Di averle rubato il consenso senza darle ciò per cui gliel’ha offerto. Neppure un poco, di quel che le è stato promesso. Ma di chi è la colpa, questa pesante e larga? Di chi è la responsabilità, di quel che le accade? La colpa è di tutti quanti noi, che abbiamo donato senza rigore di analisi. Senza capacità di controllo e di verifiche puntuali. Che ci siamo fatti abbindolare, ancora una volta. Che non abbiamo voluto capire. Per ignoranza. Indolenza. Pigrizia. Disamore verso la Città, che non abbiamo conosciuto. Non abbiamo difeso. Dalle nostre svogliatezze e distrazioni. E da quanti le hanno strappato le migliori vesti di seta dal corpo. Rubato le bellezze. In cambio di una speranza remota. Di una promessa lontana. Di un interesse piccolo, egoistico e divisivo. La colpa, la responsabilità, é soprattutto di quanti chiamati da lei stessa a proteggerla, guidarla, guarirla, l’hanno, invece, ferita è umiliata. Troppe risse troppe aggressività, troppi insulti troppe offese, troppe minacce, all’interno di questo mondo che avrebbe dovuto aiutarla. La chiamano politica, la chiamano istituzione. E anche gruppi consiliari e Consiglio Comunale. La chiamano giunta, singoli assessori e sindaco in testa. La città non può più andare avanti così. Ne va del suo buon nome, della sua storia e del suo prestigio. Ne va della sua tenuta del titolo di capoluogo di regione. La città ha assistito in questi ultimi anni ad un disordine travolgente, ad una competizione da stadio, ad uno scontro tra le parti come quello tra gli ultras più accesi delle squadre rivali della stessa regione. Ad autentiche risse, anche solo quasi soltanto verbali, pure nell’aula più solenne. È evidente che non si possa più andare avanti così.
È una lotta di tutti contro tutti, in cui il vero nemico per ciascuno è diventato di fatto la Città. Le conseguenze visibili non sono la sconfitta di questo o quel rivale. Non sono l’annientamento del “nemico”. Le conseguenze evidenti sono l’aggravarsi dei problemi della città, la sua progressiva solitudine e l’isolamento rispetto al resto della regione e dell’intero paese. Sono la sua crescente paura e quel senso di frustrazione che ne piega speranze e risorse. Il danno maggiore è per la Politica. che definitivamente si cancellerà. E per il Comune, in quanto istituzione che si indebolisce. Il danno grave è sulla fiducia residua della gente nelle istituzioni e nella Politica. Il dramma, che si allargherà, è quella persistente voglia di andare via. Nei comuni limitrofi le nuove famiglie. In Città lontane i giovani, ben presto seguiti dai loro genitori. Siamo ormai ad un punto di svolta, ad un bivio. Ci sono due vie dinanzi alle quali, disorientato e stanca, si trova Catanzaro. In una c’è l’avventura, che la porterebbe direttamente sul ciglio di un baratro. Nell’altra , invece, c’è una strada che, sebbene ancora piena di buche e di curve strette, guarda verso l’orizzonte. E il domani. Si tratta solo di decidere. Per imboccare quella buona ci vuole l’unità. Unità di volontà, di fare e di progettare. Unità di fatiche per sostenerle.unita di sentimenti verso questa terra ancora ricca. Delle due l’una, o si realizzerà da subito un patto vero per Catanzaro, fondato su cose concrete ed essenziali, su un programma ben preciso e rigorosamente calendarizzato, affidato a una Giunta di alto profilo politico, per prestigio, cultura e competenze, una Giunta libera da qualsiasi riferimento di posizioni, di condizionamenti diversi, oppure si restituisca la parola ai cittadini, perché si riprendano quel dovere alla e della responsabilità, che hanno smarrito.
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