Franco Cimino: "Cosenza, Mancini e la guerra per la statua"

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Franco Cimino
  11 gennaio 2025 10:30

di FRANCO CIMINO

 La rimozione, quale decisione già assunta dal sindaco di Cosenza, della statua di Mancini dal posto in cui si trova sarebbe, forse lo è già, un atto se non grave, di certo disturbante. Di difficile comprensione, non solo per i cosentini. A mio avviso, l’atto andrebbe rivisto e ritirato. “ Ma tu sei di Catanzaro, pensa ai fatti della tua Città…” Mi si potrebbe dire. Qualcuno potrebbe anche aggiungere:” sei pure democristiano, pensa a Misasi che non ne ha neppure una in periferia! “. E, invece, dico decisamente, pur essendo Giacomo Mancini socialista e cosentino.

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E aggiungo, che pur apprezzandone la grande passione politica, la sua fede socialista coerentemente difesa, la sua statura di uomo di governo, la sua straordinaria intelligenza e forza, non mi era molto simpatico. Vuoi perché era troppo potente e condizionante. Vuoi per quella sorte di “ familismo” politico, da me sempre contrastato. Vuoi perché era “ antidemocristiano” in quel suo progetto strategico di sostituzione della DC al governo non appena le condizioni politiche e i numeri lo consentissero, intanto favorendo quelli negli enti locali. Vuoi per per quell’attacco durissimo in diretta televisiva nei confronti di Riccardo Misasi, in occasione del caso Ligato. Un attacco che mi impressionò molto per la durezza espressiva e la mancanza di sensibilità umana. Tuttavia, Giacomo Mancini era anche per me, è tale e sempre rimasto, un gigante della Politica vera.

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Quella composta dall’Unione di pensiero e azione. Azione sociale e di governo e pensiero alto. Come quello in cui al credo ideologico e alle posizioni di parte, concorre il proprio autonomo e originale. Mancini fu maestro di Politica per tutti. Anche per me, che ho imparato qualcosa dai veri grandi. L’ho anche apprezzato, per quel suo convinto amore per la Calabria, anche se, caratteristica propria di reggini e cosentini, la Città di appartenenza veniva sempre prima. A volte a discapito delle altre. Il suo donarsi, e per dieci anni consecutivi, totalmente a Cosenza, amministrandola con intelligenza e visione lungimirante, costruendo strade e ponti anche generazionali, vale da solo cento medaglie d’oro. Inoltre, per me romantico, morire “ sul campo”, è atto di eroismo autentico. Il suo, che dall’affetto unanime della popolazione l’ha consegnato alla gloria eterna. La statua in bronzo, offerta dai cittadini, rappresenta il piccolo ma significativo riconoscimento al loro padre e figlio, che fa dei cosentini una cittadinanza civile nell’unità di fondo, che la impegna in ogni occasione importante. Se non erro, il posto, scelto di comune accordo con l’Amministrazione Comunale, è all’inizio della parte del Corso che porta a Palazzo di Città, il luogo dove lui ha lavorato nei suoi ultimi dieci anni di vita. Io l’avrei messo proprio lì davanti, invece.

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Se lo si vuole spostare e non di fatto rimuovere quasi a pentimento, lo si porti, Mancini in statua, davanti al Comune. E la Calabria intera, ne proverà piacere. Per seguirne anche la lezione di poter ripetere con altri giganti dimenticati gli stessi gesti di gratitudine. Sullo sfondo di questa “ querelle”, che spero sarà risolta nel modo migliore e senza strumentalizzazioni di ordine familiare( la Calabria di guerre interne ne ha già tante) ci sono i toni e i modi usati impropriamente per aprirli. Una maggiore delicatezza, che non fosse vuota diplomazia, sarebbe stata gradevole. Gradita. E, però, viva Cosenza e il suo legame grato a Giacomo Mancini.

 

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