di FRANCO CIMINO
Gaza le scene di giubilo. Ieri sera. E nella notte. Sul dolore la gioia. Sul lutto la festa. Liberazione e orgoglio. Questo volteggiava nell’aria bruciata. A Gaza. Liberazione, non ancora libertà. Di vivere. In pace. Nella propria terra. Nel Paese, libero e autonomo, che su di essa venga finalmente costruito. Uno Stato libero. Indipendente. Sovrano. La costruzione di uno Stato sul terreno morale. Culturale. Istituzionale. Che abbia pure in cima il loro Dio governante.
Diverso da quello che, nella conquistata laicità dei paesi occidentali, sta più in alto. In alto dei più lontani cieli. Nel posto dove qualunque Dio deve stare. A vegliare sui propri fedeli e sugli uomini, tutti indistintamente. Europei, in particolare. La costruzione dell’edificio statuale, quindi, prima delle nuove deboli ricostruzioni materiali. Essa può nascere dalla cultura dell’accettazione dell’altro, dal superamento del binomio odio-nemico. La ricostruzione nasce, invece, dalla guerra. E dalla sua momentanea interruzione. La costruzione é forte e durevole, se non definitiva. Ha un valore etico. In questo caso, più forte ancora, perché religiosamente ispirato. La ricostruzione dalle macerie materiali, si attua, invece, con i mezzi economici e strumentali. Si muove su un piano diverso, più economicistico in senso stretto. Non tiene conto dei dolori, delle umiliazioni. Delle perdite umane. E, poi, non costa nulla, anche perché la pagano gli altri. Gli stessi stati che hanno armato la guerra. Difeso l’odio.
Neppure una stretta di mano, costa. Neanche il prezzo scontato di tre parole. “ Perdonami. Scusami. Mi dispiace del tuo dolore”. La ricostruzione, la prima conseguenza della guerra. Quanto costerà e quanto resterà in piedi, la domanda del calendario appeso in cucina. Se nel mezzo tra guerra e tregua resterà l’odio incrociato, quanto durerà il fermo delle armi? E quanto é costata finora questa guerra degli altri? Quanto a noi? A chi quella guerra non l’ha fisicamente vissuta e combattuta, ma subita in perdita di risorse nazionali e familiari? Per molte settimane il posto delle armi lo prenderanno le parole della propaganda, altro spazio di un bellicismo diverso e propedeutico. Di chi è il merito di questa tregua? Biden dice che è il suo esclusivo. Trump mostra la prova, che invece a questo risultato si è arrivati per il lavoro che ha svolto lui dietro le quinte. La prova? Due, ne presenta. La promessa in campagna elettorale. La minaccia immediatamente dopo la vittoria. La ricordate? “ Se all’atto del mio insediamento non sarà raggiunto l’accordo scatenerò l’inferno.” Domenica partirà la prima fase. Ricordiamola nella parte più sensibile: scambio di trentotto ostaggi con mille prigionieri palestinesi.
Non c’è rapporto. Alcuna proporzione. All’interno di Israele la rabbia grida. Per il momento in silenzio. L’intelligence israeliana, quieta quel rumore con l’assicurazione che saprà dove ciascuno di loro, considerati pericolosi terroristi, andranno. Sarà un gioco di ragazzi scovarli e farli fuori. In quel grido soffocato in quella rabbia tatticamente nascosta, c’è l’incertezza sul numero esatto di ostaggi ancora rimasti in vita. E in buone condizioni. Da qui il dubbio se e quando e a quali condizioni saranno rilasciati. Non si dimentichi che in mano di Netanyahu, vi é il fratello del nuovo capo di Hamas. Accetterà costui che il proprio caro venga processato e condannato, sicuramente a morte, in un duro carcere israeliano? E ancora, Israele lascerà solo una parte del territorio, ma resterà in quel corridoio verso la linea di confine, fondamentale ai palestinesi per ricevere sostegni e per potersi muovere liberamente verso le altre regioni, in particolare l’Egitto. Inoltre, cosa vorrà fare l’America di Trump in Medio Oriente? Per esempio, in Siria, in Libano, in Cisgiordania? E più in là, cos’altro in Iran e in Afghanistan? Sullo sfondo, la questione centrale che avanza inesorabilmente, lo Stato della Palestina. Lo si lascerà costruire nel luogo che gli è proprio o no? Infine, si vorrà imporre, adesso, in questo minuto, all’esercito israeliano, di cessare di colpire Gaza? I settanta morti della notte appena trascorsa, chi li paga? Che ne risponde, al mondo intero, chi? Se tutto ciò che è avvenuto in questi quindici mesi è l’orribile necessità della guerra, questi cittadini inermi appena massacrati, come li dobbiamo considerare, vittime involontarie di un atto di legittimo combattimento? No, proprio no! L’Europa che dice? E l’Italia degli amici degli amici, cosa propone. Di quale indignazione si veste? È ancora disposta a dichiarare che Netanyahu potrà venire liberamente in Italia senza temere di essere arrestato, come chiede la Corte di Giustizia internazionale? Si faccia la Pace. Si costruisca la Pace. Subito e alle uniche condizione che la Pace impone. Se ci fosse ancora chi tra i guerreggianti e i “ mediatori”non le ricordasse, si chieda a quel vecchio vestito di bianco. Se non fosse in giro per il pianeta, lo troveranno di certo al seguente indirizzo: Santa Marta in Vaticano, Città del Vaticano. È facile arrivarci. Lui li aspetta.
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