di FRANCO CIMINO
Nunzio e io, eravamo amici. Di quelli speciali e volontari. Non di quelli “ obbligati” dalla ruga, dalle vicinanze familiari, dal cameratismo e dal “compagnismo” sociale e culturale. Neppure di quello più esteso, che nasce nei banchi di scuola. E lì resta per sempre. Eravamo amici per scelta. Non vecchi amici, ma amici vecchi, per l’età che ce l’ha fatto diventare. Amici buoni, quelli che l’affetto è partorito dalla stima. E su quella è cresciuto. Ché la stima, produce anche quella gratitudine di cui l’amicizia si veste. E dura. La gratitudine di non aver ricevuto una delusione di quelle che t’ammazzano il cuore. La delusione, per esempio, per una slealtà, anche verso altri. Di una infedeltà, anche rispetto alle strutture sociali. Di un tradimento anche soltanto di uno dei valori condivisi. Una sola volta mi avrebbe, secondo la mia imprudente valutazione, deluso, me colpevole di presunzione e insensibilità. Fu quando alcuni anni fa lo invitai, insieme alla mia stretta famiglia e ai miei due vescovi, all’ultima lezione che tenni all’Auditorium del mio Liceo per salutare tutti i miei ragazzi. Non venne, benché la sera prima, sul Corso delle nostre passeggiate incrociate, mi confermò, con entusiasmo, la sua partecipazione. Ci rimasi male. Un po’ gli tenni il broncio, irritato anche dalla sua risposta:” Fra’, scusami, ma mi scordavi. Pensa che sarei dovuto venire con…e non l’ho neppure avvisato. “ Non gli ho mai chiesto scusa di non aver compreso, sebbene non avessi oggettivamente potuto, che in quei giorni iniziava probabilmente a muoversi quella cosa cattiva che si insinua nella mente per farla progressivamente allontanare dalle nostre realtà. Dal nostro vissuto. La nostra amicizia cresceva, però, su quel nostro conoscerci a fondo. Per tutto ciò che eravamo come persone, al di là del ruolo sociale svolto. Nunzio è stato ventennale direttore di Confagricoltura, di cui tanti oggi hanno detto. In particolare, della sua competenza sui temi dell’agricoltura. E dell’agricoltura in Calabria. Del suo generoso servizio e della sua instancabile attività a favore della sua associazione e dell’intera regione, è stato detto da ieri. Come sulle altre sue partecipazioni intelligenti e fattive, al diverso e molteplice associazionismo sociale. In coro tutti a dire, testimoniandolo per conoscenza diretta, delle sue lealtà, correttezza, onestà, sincerità, compostezza, anche direbbero, quasi fisica, rispetto a fatti e persone e situazioni. Della sua gentilezza ed educazione, è stato pure detto. Si è pure affermato della sua candidatura nelle liste di centrodestra, con assegnazione a Forza Italia, per la carica di sindaco di Catanzaro. Anche se non del fatto che l’abbia quasi vinta con il quarantasette per cento raggiunto al primo turno. Risultato crollato vertiginosamente al secondo, senza che mai alcuna forza politica abbia mai voluto analizzare quel dato straordinario. Dato, che prescinderebbe dalle stesse alte qualità di uno dei migliori sindaci, pur se il più breve in carica, che la Città abbia avuto. Quel Benito Gualtieri, che stravinse al ballottaggio. Nunzio, non ricette per quella coraggiosa fatica, poi, nulla. Nè incarichi, né prebende o riconoscimenti politici. Ovvero, altro, che gli sarebbe stato più utile, magari a parziale ringraziamento o a piccola gratificazione per aver prestato il suo nome e il suo volto pulito, a una situazione politica, in quegli anni, assai incerta sotto tutti i profili. Anche etici. In risultati del genere, resta sospesa sulla Città la domanda che io sempre mi pongo. Questa:” Che Sindaco lui sarebbe stato? E quale altro destino avrebbe avuto la nostra comunità? “ E a seguire:”: Quale altra classe dirigente, sarebbe stata prodotta per un’attualità sempre complessa?” Io, a tutte le parole di oggi e a queste aggiuntive riflessioni, vorrei aggiungere di Nunzio le brevi seguenti cose. Sul suo personale: nella sua timidezza quasi bambina, nella sua discrezione rigorosa, Nunzio era un uomo buono. Ma buono davvero. Non aveva malizia alcuna, tanto da rendersi indifeso. E quasi fragile in quella tenerezza infinita, che gli si stampava su quel sorriso a labbra strette, che conteneva bonomia e ironia. Nelle nostre conversazioni, mai gli ho sentito pronunciare parole cattive verso alcuno. Sul sociale: uomo di letture attente e di curiosità culturale sempre accesa, per la sua passione verso la Calabria antica, che aveva studiato bene, si era fatto collezionista di dipinti e fotografie di città e luoghi della nostra terra dal settecento fino a metà del secolo scorso. Di una parte delle centinaia di immagine raccolte, fece, alcuni anni fa, nei locali dell’ex Stac, una mostra che ebbe molto successo di pubblico, ma assai poco seguito istituzionale. Come quello che suggerii, e oggi ripropongo, di allestirne, per opera del Comune, una permanente. In particolare, delle immagini che rappresentano l’antica Catanzaro e la sua naturale apertura al territorio, dove, per gli studi di Nunzio, spiccavano Squillace e Tiriolo antiche. Di nuovo sul personale e sociale insieme: era di Palmi, Nunzio, e a Palmi rimase sempre legato di un amore immenso. Viveva nella nostra Città, ma mai per alcun minuto aveva attenuato il suo legame con la Città dell’arte e del mare caldo. Il suo amore non era soltanto filiale, ma pieno della cultura e della storia di quella realtà bellissima, un monticchio di terra sospesa tra mare e cielo. Lo stesso amore di Leonida Repaci, era il suo. E lì vi andava, finché ha potuto, tutte le settimane. E l’ha servita non solo quale assessore alla Cultura, ma anche decantandone in ogni luogo e tempo le sue qualità esclusive. Nunzio, il palmese autentico, si fece anche catanzarese vero. Conosceva Catanzaro più di ogni altro che non fosse somigliante a Cesare Mulè e ad altri innamorati cultori della nostra Città. Nunzio l’ha amata, Catanzaro, di un amore eccezionale. Anche grato per averlo accolto come un figlio. Pochi catanzaresi, come lui. Di questo amore ci lascia una lezione, che ancora non abbiamo appreso. La trovo riandando velocemente a quella sua campagna elettorale. Partecipai da spettatore a un confronto tra i due antagonisti aperto ai simpatizzanti degli stessi che ponevano domande. A quella più insidiosa( “come può fare bene il sindaco uno che è nato lontano dalla città che vorrebbe amministrare?”) Nunzio rispose testualmente:” Amare il proprio paese per esservi nati e non per merito proprio, dovrebbe essere facile e spontaneo. Amare quello in cui si è scelto di vivere per servirlo, è opera più bella. Rende il cuore più forte. Il legame più stretto. Inscindibile.” Una lezione che resta. Come dono per i catanzaresi. Come monito per chi vive a Catanzaro senza amarla, come si dovrebbe.
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