
di MARCELLO FURRIOLO
Argomento che sicuramente non appassiona gli habituè dei social, ma che a ricordarlo ai più, in particolare i consiglieri comunali di una teorica opposizione, è il Presidente del Consiglio Comunale Gianmichele Bosco, patron della cerimonia di riapertura della Sala Consiliare di Palazzo Santa Chiara. Chiarendo che la mancata “Benedizione” dei locali è frutto di una scelta precisa dell’Amministrazione, che ha voluto distinguere i ruoli della massima istituzione cittadina dalle prassi liturgiche dalla Chiesa locale. Appunto in nome della laicità dello Stato. Nulla da eccepire.
Per la verità la cosa mi ha incuriosito molto. Apprezzo Bosco, anche per antichi rapporti familiari e devo dire che ha fatto un bel discorso in apertura della cerimonia, improntato tutto sui valori della democrazia esaltando nell’aula consiliare il punto di riferimento della vita civile della comunità. Ovviamente non ha parlato del diniego alla benedizione da parte dell’Arcivescovo.
Sono andato al di là nel tempo al 1989, un bel pomeriggio del mese di giugno, quando inaugurammo la Sala ridisegnata splendidamente da Pino Casale, che regalò la sua grande professionalità e il suo talento alla città, realizzandola in meno di un anno di intensi lavori. La città aveva superato la soglia dei 100 mila abitanti e i Consiglieri erano 50. Ho voluto consultare la raccolta di Catanzaro Notizie, la preziosa rivista che pubblicavamo con tutti i resoconti dell’attività del Consiglio Comunale, diretta dal grande Saro Ocera. Il numero 7 del mese di luglio è interamente dedicato a quello straordinario evento dell’inaugurazione della nuova Aula Consiliare.
Sono andato alla ricerca dello spunto utile a capire come in quella circostanza ci eravamo regolati. Dal ricchissimo resoconto anche fotografico non si evince che in quell’occasione l’apertura della sala sia stata preceduta dalla Benedizione, né dal resoconto fotografico molto dettagliato ho potuto rilevare la presenza dell’Arcivescovo, che all’epoca era l’indimenticabile Mons. Antonio Cantisani. Però la cerimonia del 1989 fotografa uno scenario istituzionale e politico assai diverso da quello attuale. La cerimonia era stata pensata come una vera e propria seduta straordinaria del Consiglio Comunale, a cui erano stati invitati tutti gli ex Sindaci, che sedevano in prima fila nello spazio riservato al Sindaco e alla Giunta ed avevano preso tutti la parola da Franco Bova, primo Sindaco del dopoguerra a Francesco Pucci, a Cesare Mulè, Angelo Donato, Aldo Ferrara e Fausto Bisantis, e a ex Amministratori come Bruno Dominijanni che fece un intervento molto apprezzato e vivace, a tutti i Capigruppo come Ninì Dardano del PCI e Pino Casale del MSI. Una cerimonia assai partecipata con tutti i massimi rappresentanti delle istituzioni dalla Magistratura al Prefetto, alle Autorità militari, agli Ordini Professionali, i parlamentari. Una serata che rimane nella memoria storica della città di Catanzaro. Non se ne dolgano Nicola Fiorita e Gianmichele Bosco, ma soprattutto i responsabili del cerimoniale: dopo nove anni l’aspettativa era molto elevata. Non solo per quel che riguarda il risultato del restauro, ottimo nella parte tecnologica, assai discutibile nella soffittatura a coriandoli colorati poco in sintonia con il prestigio dell’Aula. Scelte assai opinabili.
Come opinabili sono le contrapposte posizioni emerse in questa superficiale polemica che interessa molto i media e molto di meno la città. Perché rimane del tutto marginale rispetto al problema strisciante ormai a Catanzaro e che riguarda la sua identità, la percezione popolare delle sue rappresentanze e lo scarso rilievo che si da ai valori unificanti della comunità. Solo cosi può leggersi l’atteggiamento neutrale e tiepido rispetto alla problematica sollevata da tante Associazioni sul destino del campanile del Duomo e della Madonnina di Giuseppe Rito che veglia sulle ansie dei catanzaresi; sull’abbandono delle salme nel Cimitero Urbano, ormai libero pascolo di bande di cani randagi e domani, forse, di cinghiali fino all’aggressione di Mons. Andrea Perrelli, incolpevole vittima del suo grande amore e della sua missione solitaria a difesa della dignità dei non più vivi e del dolore vilipeso dei familiari; per non parlare delle scelte del Rettore dell’UMG che trova spazio e tempo per la realizzazione di una Moschea all’interno del campus di Germaneto e meno preoccupazione per i destini dell’Ateneo e dei suoi giovani.
Forse allora il problema non è la laicità delle Istituzioni democratiche, che era tale anche quando assieme all’amato Vescovo di Catanzaro Antonio Cantisani nel 1984 l’Amministrazione Comunale ha scritto una pagina che rimarrà nella storia di questa città in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II e in tutte le occasioni in cui assieme alla Chiesa è stata celebrata l’identità cattolica e cristiana di questa comunità. Perché laicità non è separatezza, divisione, ma continua e comune ricerca della verità, della giustizia e della libertà nel rispetto dei ruoli e delle diverse missioni. La Chiesa locale ha forti tradizioni di rispetto e condivisione dell’azione amministrativa. Ci sono centinaia di sacerdoti che quotidianamente portano la Parola a sollievo delle sofferenze e dei bisogni dei cittadini di Catanzaro, a cui non sempre la mano pubblica riesce a dare risposte. Penso a figure di Pastori misericordiosi come Don Antonio Cantisani, guida illuminata che ha lasciato un vuoto ad oggi non più colmato nel difficile percorso di carità e di speranza, Don Mario Squillace, Don Giorgio Bonapace e tanti altri nel lungo elenco di servi della Fede ma anche del bene comune, che non hanno trovato nella laicità delle istituzioni un ostacolo al dialogo e al superamento delle barriere ideologiche e religiose.
Una lezione che da una risposta anche al giusto interrogativo di Sergio Dragone sulla data del prossimo 8 dicembre e sul significato del Contratto solenne rinnovato ogni anno tra la Chiesa locale e il Comune di Catanzaro.
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