di FRANCO CIMINO
Ieri è stata la giornata mondiale dei bambini e degli adolescenti. L’ho respinta con fastidio. Ogni giorno il calendario civile è occupato da una ricorrenza storica, da un tema sociale. L’Onu, le istituzioni nazionali, il nostro Paese, l’Europa, di giornate dedicate ne creano continuamente. I trecentossesantacinque numeri sul calendario sono tutti occupati. Ad inventarne un altro, non si troverebbe spazio. La retorica che li istituzionalizza è fastidiosa. Violenza sulle donne, e crescono le violenze. In particolare, quelle non viste, chiuse all’interno delle case o delle auto dove ogni giorno si consumano. Giornata dell’amicizia, e per poco non ci si azzanna quotidianamente nei condomini. Giornata della gentilezza, e persino nei Parlamenti e nelle assemblee elettive, anche locali, o nei dibattiti televisivi, ci ci aggredisce l’un l’altro. Come atteggiamento fisico si usa l’aggressività, che spesso sconfina nell’aggressione fisica, mentre il “forbito” eloquio degli eletti è fatto solo di parolacce e di volgarità qui irripetibili.
La giornata per gli immigrati, ma se non ne muoiono annegati in numero maggiore dell’ultimo più scandaloso, neppure li pensiamo, se non per il fastidio misto a paura, quando li vediamo a mendicare per le strade o in quei giovani di colore che camminano in gruppo, di sera, dopo un’intera giornata di lavoro sfruttato. Per citarne alcune, qui non tacendo sulla giornata dedicata ai detenuti. È solo di ieri la notizia dei fatti gravissimi accaduti nel carcere di Trapani. La Magistratura ha scoperto, con ampie prove, le violenze che un gruppo organizzato, direi, di agenti di custodia, (meglio tornare a chiamarli, quelli lì, “ guardie carcerarie” ) ha perpetrato ai danni di detenuti. In particolare, quelli più fragili per le loro condizioni fisiche e psichiche. E potrei continuare lungamente. Per esempio, giornata del bacio, della carezza, dei nonni, dell’albero, dell’acqua, della scuola, del libro, del pane, della terra, e via dicendo. Di quella della libertà e della Pace, neppure mi viene di scriverne la parola. Per come siamo combinati, noi, gente e persona e il mondo, non mi pare che le giornate dedicate ci migliorino. Ci servono per scaricarci la coscienza, noi e le istituzioni. Ma non per cambiare nulla di noi. Un solo minuto di pensiero, magari anche commosso e commovente, in quella giornata e per quel tema, ci fa star bene. Ancora meglio se ci riuscirà di inviare un sms di contributo per sostenere una causa particolarmente “ pietosa”. Poi, si ritorna alla dura quotidianità, dove la povertà crescente la sentiamo solo in noi, oggi che la crisi economica e la stupidità dei governi ci mordono sul collo. Ma non nei sei milioni di italiani o centinaia di milioni di europei o nei due miliardi di esseri umani nel mondo, che soffrono la fame, fino a morirne.
Un solo pensiero per le guerre, ma poi cambiamo canale quando le televisioni ce ne mostrano le più drammatiche immagini. Dovremmo imparare da queste giornate cambiare almeno un poco. E, però, non succede nulla, se non la passiva impotente accettazione della retorica nazional-popolare, per dirla col termine più comprensibile. Ma la giornata di ieri, quella dedicata ai bambini e ai ragazzi, proprio no. Non mi va giù. Siamo un mondo invecchiato, che non ama i bambini. Stiamo diventando un mondo di vecchi che sta facendo a meno dell’infanzia. Un mondo vecchio che della vecchiaia ha solo la stanchezza fisica, la malattia progressiva del corpo, ma non la saggezza dei vecchi. La saggezza, che guarda al futuro più lontano pur con gli occhi indeboliti e la vista più corta. Siamo diventati un mondo che quel futuro, invece, sta accorciando, rassegnandosi a cedere l’intelligenza umana alla macchina e l’umanità al rischio di una sua estinzione, almeno morale. Stiamo uccidendo i bambini nelle diverse guerre, la povertà, la prima e più drammatica fra tutte. E l’infanzia nelle nostre case, apparentemente lontane e protette da quelle guerre. Nel mentre scrivo, nelle terre inaridite, negate all’acqua e al grano, nei villaggi proibiti ai libri e ai quaderni, stanno morendo centinaia di bambini. Quando avrò finito questa riflessione saranno migliaia.
Nelle guerre dimenticate e non viste, dalla Siria allo Yemen, da anni, ogni giorno muoiono un numero incalcolabile di bambini e ragazzi. In mille giorni di guerra, sul territorio Ucraino, si calcola(naturalmente in modo approssimativo, cioè per difetto), che siano stati uccisi almeno tremila bambini e che la Russia ne abbia rubati( per farne cosa, poi?) circa ventimila. Strappati dalle famiglie sono le vittime di una nuova deportazione, dissimile da quella nazista contro gli ebrei solo per il fatto che quei bambini saranno, dopo un processo di “ rieducazione” e l’adozione presso famiglie russe, a diventare cittadini di quel paese dalle nuove ambizioni imperialiste e autoritarie. Su Gaza, bombardata incessantemente dal potente esercito israeliano, dove non c’è più un edificio in piedi, una scuola, una strada, un ospedale, se non sotto le montagne delle loro rovine, il numero dei bambini uccisi è davvero difficile accertarlo. Su oltre quarantamila, forse cinquantamila ad oggi, palestinesi uccisi, come si fa a stabilire quello dei bambini e dei ragazzi? Si dice ventimila, ma se anche fossero la metà o soltanto dieci, sono morti imperdonabili. Anche dal proprio Dio, in nome del quale si fanno le guerre.
Nulla, però, di preciso sappiamo dell’inferno dei campi profughi, anche quelli in Libano o da lì più lontano, dove i bambini muoiono di fame e di malattie. Addirittura, quelle che si stavano debellando e che ora, come la poliomielite, sono tornate per mancanza di vaccini. Che non possono essere somministrati dalle agenzie umanitarie, che, bloccate militarmente sulle strade, non riescono ad arrivare in quelle zone della miseria e del dolore, dell’umiliazione e dell’offesa, più inconcepibili. Usare la fame e gli stenti, le malattie, come arma di guerra è più che disumano. È atto “genocida” , che va perseguito subito, con ogni mezzo che le leggi internazionali prevedono, dagli organismi politici e giudiziari competenti. Il dramma più grave che la storia finirà con l’annoverare, non trova però le adeguate risposte. Tutti aspettano ancora l’America, e l’America di Trump addirittura. Nessuno che si muova, per fermare l’immane strage. Nessuna voce che rompa questo assurdo colpevole silenzio. Solo quella di Francesco. Il Papa. Solo quella di quest’uomo vecchio, malato e stanco, a cui non bastano più neppure le preghiere al suo Dio, il nostro. Il mio.
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