Giorno della memoria, Clodomiro: “A noi democratici il dovere di vigilare sulla tenuta delle istituzioni”

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Vanni Clodomiro
  26 gennaio 2025 19:47

di VANNI CLODOMIRO

A livella, del grande Totò, così inizia: Ogn’anno, il due novembre, c’è l’usanza. Per i defunti andare al Cimitero. Ognuno ll’adda fa chesta crianza, ognuno adda tené chistu penziero….

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Così accade anche per il 27 gennaio, giorno della memoria. Senonché, siamo certi che ciascuno non pensa ai propri defunti solo il giorno del 2 novembre: il dolore non passa e il ricordo non si perde.

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È così che deve essere anche per il giorno della memoria: non dev’essere solo il 27 gennaio, anzi è un ricordo che nessuno deve abbandonare in nessun giorno dell’anno.

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Perché proprio il 27 gennaio? Perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nell’operazione Vistola-Oder in direzione della Germania liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, uno dei più tremendi della storia dell’umanità, in cui soffrì e perse la vita una quantità enorme di persone. Ma queste sono cose in genere note a tutti, e perciò vorrei invece presentare una fugacissima e parziale sintesi della situazione vissuta dall’Italia, e non solo: un brevissimo cenno di quel quadro doloroso della storia d’Italia, dell’Europa, e del mondo intero, tanto per dare l’idea di quel mondo contrassegnato da fatti di inaudita atrocità.

Hitler e Mussolini si conobbero molto prima che il loro diventasse un rapporto di amicizia. Tuttavia, nel momento in cui quell’amicizia si consolidò, è utilericordare che il führer, nonostante ciò, e nonostanteconcreti accordi di politica estera presi con il dittatore italiano, condusse in Europa una politica del tutto autonoma. Forse, Mussolini avrebbe potuto scegliere una strada diversa, facendo altrettanto; invece, quando, a un certo punto, ebbe modo di visitare la Germania, rimase abbagliato dall’imponenza delle acchiaierie tedesche: in quel momento non fu difficile per lui convincersi della potenza tedesca.

A quel punto Mussolini, quel duce che negli anni venti sembrava guardare dall’alto in basso quel piccolo, oscuro agitatore austriaco, e che nel 1934 sembrava imporre la sua personalità sul dittatore tedesco, decise di legare il proprio destino a quello del führer, sperando ovviamente di avvantaggiarsene. E così, con quelladecisione, Mussolini determinò drammaticamente la sorte, non solo sua personale, ma dell’Italia tutta: pur di realizzare il suo sogno di dominio nel Mediterraneo –la sua grande ambizione – volle seguire il carro di Hitler, qualunque potessero essere le conseguenze.

D’altra parte, l’Italia era considerata dal führersoltanto una specie di bel paese, adatto soprattutto alle vacanze, magari di Eva Braun, che amava soggiornare e bagnarsi nel mare di Portofino; ma per le decisioni importanti, l’Italia, come accadde in più occasioni, venne informata soltanto a cose fatte.

Poi, le vicende belliche avrebbero messo, come tutti sanno, a dura prova sia Hitler che Mussolini, ma l’amicizia tra i due rimase (può sembrare strano, ma più da parte del führer, che del dittatore italiano). La campagna di Russia, passata col nome di OperazioneBarbarossa, andava male. La situazione si era fatta difficile e in Italia, tra la fine del 1941 e l’inizione del ’42, nella la gente cominciava a serpeggiare la sensazione che il fascismo non fosse più tanto entusiasmante: in quello che i tedeschi chiamerebbero Volksgeist, si diffondeva il senso di un futuro non più roseo; che i bei tempi del fascismo trionfante fosseroormai passati e che i giorni a venire sarebbero statipiuttosto magri.  

Ma a noi, qui importa, tralasciando i fatti noti a molti, chiarire i motivi per cui vale la pena ricordare il 27 gennaio: cioè la questione razziale e le sconvolgenti vicende dei campi di concentramento.

A tale proposito, vogliamo sottolineare che il razzismo, per Mussolini, non fu propriamente un atteggiamento importato dalla Germania hitleriana.

In realtà, sulla questione razziale la politica del duce era più, per così dire, più autonoma rispetto a quella del führer, ragione per la quale occorre fare una riflessione diversa: contrariamente a quanto comunemente si crede, le leggi razziali non sono state imposte all’Italia da Hitler. Già con la guerra d’Africa, si è fatta strada in Mussolini l’idea che gli italiani abbiano, per così dire, fraternizzato un po’ troppo con gli africani, il che lo ha indotto a credere che ciò potrebbe in futuro minare la più genuina identità della nazione (dimenticando però che l’antico impero di Roma era tranquillamente multietnico); l’emanazione della legge del 1938 è dovuta alla convinzione che così sarà preservata quell’italianità, cui il duce ha sempre tenuto molto, rivelando in realtà un suo razzismo diverso e comunque autonomo rispetto a quello, estremo, teorizzato dal führer. D’altra parte, aspetti del razzismo, che potrebbero sembrare di secondaria importanza, si possono individuare in altre circostanze: ad esempio, non si possono ignorare alcuni provvedimenti decisamente vessatori che il fascismo adottò nei confronti delle minoranze linguistiche, nell’intento di preservare la purezza italiana anche dal punto di vista della lingua. Allo scopo, si vietava che si pronunciassero alcune espressioni e alcuni termini presi in prestito da lingue straniere (cocktail diventò arlecchino, chaffeur diventò autista, ecc.). Da questo punto di vista, è utile ricordare che certo Franco Natali, membro dei fasci di combattimento bergamaschi, scrisse un piccolo volume dal titolo significativo Come si dice in italiano? Vocabolarietto autarchico. Il libro, del 1940, spiegava tra l’altro che l’autarchia, a parte i vantaggi per il commercio e l’industria, doveva essere intesa come una ben precisa mentalità (e si sa bene che una delle acquisizioni più significative della storiografia recente è proprio lattenzione prestata alle mentalità, anch’esse fondamentali nel contribuire ai mutamenti della storia). Perciò, come si vede, quel particolare orgoglioso senso dell’italianità faceva parte di una più ampia visione del tutto compatibile con una sia pure poco appariscente forma di razzismo. Nessuna difficoltà quindi nell’emanare le leggi razziali.

Per concludere, pensiamo che il ricordo della memoria non debba ridursi al 27 gennaio: noi democratici puri abbiamo il dovere di vigilare, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, sulla tenuta delle istituzioni che seguirono al disastro del secondo conflitto mondiale. Dobbiamo guardare con molta attenzione a questa ventata di malsimulato razzismo, che sta passando, o ripassando, un po’ dovunque, in Italia, in Europa e non solo. Nessuno dovrà più assistere al quel mondo in fiamme, comequella guerra ridusse. Nessuno mai dovrà più vivere quello che le vittime dei campi di concentramento hanno vissuto.

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