Giovanna Pancheri, Albi-New York e.. ritorno: "Vi racconto la mia vita da corrispondente"

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Giovanna Pancheri on air aggressione bruxelles
  02 settembre 2019 23:29

di FRANCESCO PARAVATI

Giovanna Pancheri, volto noto di Sky Tg 24 come corrispondente da Bruxelles, ha tenuto incollati milioni di Italiani al televisore con la sua faccia acqua e sapone da brava ragazza, raccontando in prima linea gli attentati di Bruxelles e Parigi, facendo preoccupare le mamme (tra cui la sua) e conquistando fans con la sua cronaca asciutta e placida mentre i colpi e le esplosioni si susseguivano dietro le sue spalle.

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Ora da tre anni è inviata a New York, giunta proprio alla vigilia dell’elezione di Trump. Reduce dalla cronaca delle bizzarrie americane non ha potuto rimanere lontana dalla “sua” Calabria, dalle zie sulla costa Ionica e naturalmente da Albi, Sila piccola, paese d’origine della madre, dopo una sosta a Sorrento per ricevere l’importante premio giornalistico Biagio Agnes e un’estate divisa tra Capalbio (reclamata dai genitori: il Rettore dell’Università Uninettuno Maria Amata Garito e l’ingegner Claudio Pancheri) e la Puglia.

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Ora che l’estate è ormai un ricordo, riempita la macchina di ndujia, formaggio, cipolla di tropea, melanzane e pane di casa si può rientrare a Roma per salutare amici e parenti prima di tornare a New york.

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Allora cosa hai fatto in Calabria?

Mia madre è calabrese, mio papà Trentino vengo a ritrovare i luoghi dell’infanzia ogni anno, il mare ma anche la Sila, Albi dove c’è ancora la casa dei nonni che mia madre ha appena ristrutturato sperando che un giorno potremmo tornarci con tutti i cugini a fare festa intorno al camino, come i tempi felici quando ancora ci vivevano i nonni. Terra bellissima ma piange il cuore dopo essere stata in Salento, capisci il potenziale di tanta bellezza, purtroppo inespresso. In Salento vedi la bellezza del mare come il nostro ma vedi anche tanti giovani che sono tornati nella loro terra a lavorare nel turismo. Da noi abbiamo più chilometri di coste, la montagna che è montagna vera, ma a mare dove vado io (Montepaone) c’è la stessa gente di quando ero bambina, che continua ad andare li perché ci vivono i parenti. Poi dalla Puglia alla Calabria ci metti almeno 5 ore in macchina, sulla costa ionica non c’è stato nessuno sviluppo, eppure (sogna ad occhi aperti ndr) si potrebbe creare una macroregione tra Puglia e Calabria magari collegate via mare, in Calabria non ci sono porti per chilometri e chilometri non hai strutture ricettive all’altezza, noi riusciamo a tornare nelle case di famiglie finchè vivono nonni e zii.. Eppure la regione più arretrata d’Italia avrebbe un potenziale di crescita enorme se ci fosse una maggiore cura del territorio, ma c’è solo abusivismo, come in Puglia è vero, ma lì però c’è stata una cultura di recupero dei centri storici per cui anche un paesino dell’entroterra diventa un polo d’attrazione anche se lontano dal mare. Da noi i centri storici e la loro bellzza sono abbandonati o sostituiti con mostri di cemento, anche la Presila ora ti affacci dalla finestra di casa dei nonni e dove prima vedevi valli incontaminate vedi “casermoni” mentre le case antiche cadono a pezzi. Se Peppino Impastato diceva di voler usare “la bellezza conto le mafie” una ragione c’era, vivere in un posto bello ti aiuta ad essere più attento a preservare le tue cose, a essere migliore, se vivi in un posto brutto diventi brutto anche tu. Così la criminalità organizzata che prolifica e impedisce lo sviluppo ha gioco facile. Detto questo i calabresi sono sempre persone splendide, di grandi capacità e accoglienza.

Da quanti anni vivi fuori dall’Italia?

10 anni fuori dall’Italia prima a Bruxelles dal 2009 poi negli Stati Uniti. Prima due anni studio fuori tra Parigi e il Collegio d’Europa a Bruges.

Raccontaci la tua vita da corrispondente…

Ovviamente dipende dal luogo dove sei, l’America è diversa dall’Europa dove il lavoro cambiava quotidianamente, gli argomenti le notizie da seguire erano le più varie. Negli stati uniti invece Trump occupa gran parte del mio lavoro mi sveglio e vado a vedere cosa ha twittato. Una presidenza interessante per chi fa il mio lavoro, da seguire, divisiva e fonte di continue notizie. Inoltre da quando ha vinto Trump con la redazione abbiamo capito di non poterla raccontare solo da New York, così in tre anni sono stata in 25 stati americani per raccontare approfondire per poter raccontare la vera America, capire come e perché una personalità così controversa avesse convinto gli americani a farne il proprio Commander in Chief.

Cosa è cambiato rispetto alla Presidenza Obama?

Obama è stato un bravo presidente, ma quando non aveva più il congresso dalla sua parte ha dovuto fare delle scelte, privilegiando i più poveri, tralasciando le problematiche della classe media in un momento in cui la crisi internazionale colpiva proprio la middle class fino ad allora agiata e benestante. Trump ha intercettato questo disagio andando a fare campagna negli stati così detti “operai” che erano stati abbandonati dai democratici che erano convinti di aver già vinto, parlando la loro lingua trovando le corde giuste di un Paese in cui il fallimento non è un opzione, in cui fino a qualche anno fa se fallisci sei un perdente. Lui ha cambiato paradigma, ed in questo è stato rivoluzionario, ha detto non è colpa vostra se fallite e non riuscite a pagare i conti, è colpa di Washington, della globalizzazione, sono gli immigrati che stanno distruggendo il sistema che abbiamo creato. Ha assolto gli americani introducendo un vero e proprio cambiamento di mentalità, mentre prima dovevano nascondersi vergognandosi delle difficoltà economiche, con Trump improvvisamente non si sono sentiti più in colpa, potevano scaricare la colpa sugli altri.

Un problema, un cambio di mentalità che sta facendo proseliti ben oltre gli Stai Uniti che ne pensi?

C’è un libro che mi ha appassionato: “Come sfasciare un paese in sette mosse” della scrittrice Turca Ece Temelkuran (https://www.illibraio.it/libri/ece-temelkuran-come-sfasciare-un-paese-in-sette-mosse-9788833931968/ ) . Partendo da Erdogan l’utrice traccia punti in comune tra la Turchia di oggi e movimenti simili in Europa e Stati Uniti, l’ultradestra, la destra, i populisti. Tutti questi nuovi leader quando parlano utilizzano il “noi” per far sentire gli elettori parte di qualcosa, di un “movimento”, Trump non parla mai di partito ma di movimento, un’idea che aiuta ad ottenere i voti dei cittadini che vivono un momento di difficoltà.

Quindi la presidenza Trump non è un episodio? Potrebbe rivincere secondo te?

E’ una questione di momenti storici, vedremo in che “momentum” (come dicono gli americani) ci troveremo durante le elezioni. Trump è arrivato in un momento in cui i democratici avevano scelto il peggior candidato. Obama ha fatto un patto con i Clinton, lasciando il partito in mano loro non creando un eredità politica una serie di persone una corrente, secondo me sbagliando, tanto che non ha avuto un delfino, eredi politici che siano stati capaci di mandare avanti la sua “legacy”, il lascito delle tante cose buone fatte. Se Trump vincerà lo deciderà l’economia perché è indubbio che l’America si trova davanti ai segnali di una nuova recessione. SI iniziano a vedere le prime avvisaglie della crisi, gli stipendi crescono meno di prima, la sua riforma fiscale ha sì accelerato la tenuta economica del paese ma presto si sentirà l’effetto dei dazi che influiranno proprio sulla classe media che lui vuol proteggere; la Cina ha risposto con i controdazi alcune imprese che non hanno esternalizzato la produzione all’estero iniziano a licenziare e perché non possono continuare a comprare dalla Cina a prezzi bassi come i competitor internazionali. Bisogna capire quando esploderà la crisi e poi vedere chi gli mettono contro dall’altra parte…

Chi vedresti come candidato democratico ?

Uno non troppo a sinistra altrimenti rivincerà Trump. Ricordiamoci che a votare è il mondo dell’America centrale, quello che decide le elezioni, non capisce le politiche sociali, ne ha paura, quelli come la Ocasio Cortez che si definiscono socialisti, li, sono ancora quelli che “mangiano i bambini”. L’ex vicepresidente Biden è molto amato, tanto che si è dimenticato cosa vuol dire essere contrastato per cui si è trovato in difficoltà quando è stato attaccato durante i dibattiti. Avrebbe dovuto candidarsi quattro anni fa ora soffre rispetto alla durezza del dibattito politico, che si è inasprito anche e soprattutto dopo la discesa in campo di Trump quattro anni fa.

Come vedi la situazione italiana, similitudini con l’America che ci racconti ogni giorno dai teleschermi ?

La vedo molto confusa ci sono similitudini, sì, c’è una classe politica precedente che anche in Italia non ha saputo ascoltare né dar risposte, c’è la paura nei confronti dell’altro, amplificata da un clima di continua campagna elettorale, si propongono solo slogan non più idee né programmi, una logica che vale per tutti i partiti, nessuno escluso. L’elettorato italiano è particolarmente volubile, oggi si direbbe “liquido”, può cambiare opinione facilmente ma c’è comunque desiderio di stabilità e bisogno di risposte a determinati problemi, uguali a destra come a sinistra. In America, poi, c’è una maggiore delega di poteri. Trump ha cambiato tutti i dirigenti ma anche le sue decisioni più estreme nei fatti vengono mediate ed edulcorate da dirigenti competenti che pure ha nominato lui, inoltre una volta eletto un presidente durerà quattro anni, per cui il sistema si tara su tempi differenti, non in un continuo avvicendarsi di governi che cadono e nascono almeno una volta l’anno. Problemi simili li riscontro nel nuovo linguaggio violento della politica, nei termini e nei modi di una dialettica in cui l’odio diventa protagonista del discorso politico.

Da analista politica quale sei, quale ruolo hanno svolto i social network in questo cambiamento?

I social network hanno permesso ai politici di non avere intermediazioni, di liberarsi di un giornalista che sta nel mezzo, fa delle domande. Ti permettono senza contraddittorio di accedere a una platea di milioni di persone, questo aiuta molto le personalità che parlano per slogan. Per loro i giornalisti non rappresentano quel filtro necessario della democrazia, ma il rompiscatole che ti fa una seconda domanda per verificare quello che dici. I social network stano abituando la società a un modo diverso d parlarle e pensare, ora il livello d’attenzione è bassissima, altro che i dieci minuti, regola aurea del public speaking, l’attenzione non dura più neanche per il tempo necessario a leggere un buon articolo. Twitter permette di dire una cosa con un solo hashtag, il che fa il paio con la crescente incapacità di leggere e comprendere. L’Italia ha il 30% di analfabeti funzionali che pur sapendo leggere e scrivere non capiscono un testo e allora si informano sui web, con tutto quel che ne deriva. La cosa più preoccupante è che l’evoluzione tecnologica dei social network va avanti spedita ma la ricerca su come affrontarli e utilizzarli è ancora ferma alle origini. Per quanto riguarda l’utilizzo chene hanno fatto determinate forze politiche, è dimostrato che attraverso i social si è cercato di avere un impatto sui risultati elettorali di molti paesi democratici e influenzare il processo democratico. Così è stato in America nelle ultime elezioni e cosi’ nel vecchio continente, l’Unione Europea ha accertato che è avvenuto anche in Italia.

 

Esiste quindi una strategia sovranista comune? Un filo nero che passa dai social?

Esiste una strategia che passa anche dai social e ha dei grandi burattinai, Steve Bannon è uno di questi (ideatore del sito di news sovranista breitbart.com e stratega della ultima vittoriosa fase della campagna elettorale e della prima fase della presidenza di Trump, ndr). In America Bannon ha perso il suo potere perché l’anello di “sicurezza” che la Casa Bianca ha creato intorno a Trump, in una grande macchina democratica in cui da tanti anni gli anticorpi ai totalitarismi funzionano bene, lo ha estromesso. Ora Bannon viene sempre più spesso in Europa, e in Italia. Sentirlo dire, due giorni prima della caduta del governo italiano, che il matrimonio tra Lega e 5 stelle non aveva più senso fa… riflettere. Ma non c’è solo lui anche la Russia,la posta in palio e’ l’Europa, mercato enorme di 500 milioni contro i 350 milioni dell’America… Che ci sia questo desiderio di scardinare il processo europeo di integrazione con forze disgreganti mi sembra abbastanza evidente e i social non sono la causa ma uno strumeno,. I Russi hanno capito, e loro sono stati più abili a usarli, combattere una guerra sui social costa poco e dà ottimi risultati, chissà cosa succederà nelle prossime elezioni.

Hai vissuto e lavorato a Roma, New York, Parigi, Bruxelles… Qual è la città che preferisci?

Roma è la mia città, sta nel mio cuore, quando penso a casa, casa è Roma. L’ho visto cambiare tanto e non in meglio certo, ma ormai vengo davvero poco non la vivo nella quotidianità. New York è viva, stimolante città con grande energia che ti fa capire cosa c’è dietro al sogno americano: tutto è possibile se riesci ad avere successo qui puoi conquistare il mondo, l’altro lato mostra una città anche violenta che ti mette davanti all’individualismo americano, più esasperato, contro il senso di comunità che e’ ancora vivo in Europa ma che in America è andato perso. In Europa puoi muoverti coi treni ad esempio, mezzo a tutti accessibile, nato per la comunità. In America dove sono nate cresciute le ferrovie per andare da New York a Washinton, poco più di 200 miglia, il treno “veloce” ci mette oltre 3 ore e costa tantissimo! Ti chiedi come è possibile che ad andare da Roma a Napoli in treno, su per giù la stessa distanza, ci si mette un’ora! Secondo me è un retaggio della cultura americana per cui vuoi far parte dell’ 1 per cento che va a Washington in elicottero o al massimo in aereo, simbolo di individualismo non di comunità. Io poi mi sento profondamente europea, determinate conquista della sinistra, il nostro welfare, nessuno le mette in dubbio. Bruxelles è molto divertente, piccola conosci persone di culture diverse che vengono da tutto il mondo e condividono con te il sogno dell’Europa unita, un’energia positiva, la chiamano la “ bolla” di Bruxelles, poi però piove sempre… Parigi è l’altra città del cuore i momenti più significativi della mia carriera li ho vissuti lì, provo un misto di nostalgia, affetto, tenerezza, sicuramente una città speciale

Voglia ‘e turnà?

Intanto vediamo chi vince in America (non in Italia, non c’entra anche perché pare che non ci saranno elezioni, al momento), vediamo come finirà questa presidenza così interessante da raccontare.

Un consiglio ai ragazzi calabresi che vogliono fare i giornalisti in una terra in cui i giornali chiudono (a parte questo in cui scriviamo che è appena nato e avrà lunga vita).

Specializzarsi! Lo consiglio a chiunque voglia fare questo mestiere. Non ho mai avuto dubbi fin da piccola ho voluto fare la giornalista anche se tutti mi sconsigliavano, così mi sono ripromessa che non scoraggerò mai chi vuole fare il giornalista. Specializzarsi in quello che ti piace capire le cose in cui hai le tue corde e costruirti un percorso formativo ed educativo che vada a combaciare con quello che vuoi e che ti piace fare , perché è un mestiere che tanta gente vuole intraprendere ma tutti fanno lo stesso tipo di studi: lettere o scienze della comunicazione e scuola di giornalismo. Una massa di persone identiche per pochi posti liberi, ma se ti specializzi non è più il giornale che ti deve formare ma sei tu che porti del tuo.

Alle ragazze e ai ragazzi calabresi invece?

Consiglio di fare quello che hanno fatto i coetanei pugliesi decidendo di dare una possibilità alla propria terra, studiando e capendo come utilizzare i fondi di sviluppo europei. La Calabria è stata sempre una delle regioni con i maggiori fondi disponibili, ma anche con i maggiori fondi restituiti perché non è stata mai in grado di presentare progetti validi. Io amo questa terra e auguro ai giovani di trovare idee e coraggio nella legalità e magari grazie ai finanziamenti europei svilupparne le enormi potenzialità. Auguro loro di non andar via, già in troppi lo hanno fatto e lo fanno, ma tornare e rimanere grazie al coraggio e alla follia della gioventu’, che permette di cambiare il mondo in cui vive, per quanto possa sembrare impossibile.

 

BIO

Giovanna Pancheri è nata a Roma nel 1980. Giornalista e inviata di Sky TG24 dal 2005, è stata Corrispondente dal 2009 al 2016 per l'Europa per la stessa testata con base a Bruxelles. In questi anni, oltre a seguire la crisi economica e dei migranti dal cuore delle istituzioni, e come inviata nei principali paesi in difficoltà, ha coperto anche i più importanti fatti politici e di cronaca, dalla Brexit alle elezioni in Franca, in Germania e nel Regno Unito, passando per la gestione diplomatica delle crisi in Georgia, in Libia e in Ucraina fino alla copertura degli attacchi terroristici in Francia e in Belgio, che le è valsa premi e riconoscimenti della critica. Prima di Sky, ha lavorato in Rai e nei settori stampa e comunicazione della World Trade Center Association a New York, del World Heritage Center dell'Unesco a Parigi e come Policy Officer all'European Youth Forum a Bruxelles. Dal settembre 2016 è corrispondente per il Nord America. Vive a New York. Nel 2017 ha pubblicato con Rubbettino il suo primo libro Il buio su Parigi, in cui ha raccontato gli attentati terroristici che hanno sconvolto la capitale francese attraverso la sua esperienza di inviata in prima linea.

 

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