Guerra Israele-Hamas, Bilotti: "Tre ipocrisie sulla strada della pace"

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  10 ottobre 2023 16:03

di DOMENICO BILOTTI

Ho sempre creduto potessero essere più genuine le analisi che partivano da un po’ di autocoscienza, rispetto a quelle pronunciate dalla cattedra. Dall’intervento armato di Hamas (invero non solo di Hamas e, magari si scoprirà, marginalmente di Hamas) contro Israele, ho ricevuto un marginalissimo effetto deleterio – nemmeno un’unghia per chi ha perso famiglia, vita, tranquillità. Sarei dovuto essere nelle prossime settimane alla Hebrew University di Gerusalemme per un congresso internazionale su pena e giurisdizione. Sarei dovuto andar lì con un collega avvocato e insieme avremmo esposto i risultati di comuni ricerche recenti. Già prima che iniziasse l’offensiva, mi chiedevo tuttavia se fosse il caso di programmare una trasferta così impegnativa. Non c’entra la divinazione: c’entra che in Israele da mesi la situazione era un calderone, più o meno da quando il governo in carica era partito in quarta per riformare la giustizia e consegnare la Corte Suprema all’irrilevanza nel controllo delle leggi e dei loro effetti. Temevo, insomma, l’ordine pubblico interno, non quello internazionale – i palestinesi hanno appoggiato le proteste per la controriforma Netanyahu, si, ma in modo molto dimesso: loro che il volto truce della giurisdizione patiscono da decenni. E tutto sommato vedevo quella riforma in primo luogo pretestuosa: un fenomenale distrattore dell’opinione pubblica, al tempo del riavvicinamento affrettato tra Israele e Arabia Saudita, con intensificazione del pugno duro sui territori di confine. 

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E comunque la si pensi c’è da augurarsi la pace, non con le belle parole di una omelia forbita, ma mettendo in campo tutto, ma proprio tutto, dai piani alti ai piani bassi, possa essere utile alla causa (mi è sembrato, ad esempio, un bel segnale la lettera dell’UCOII, la più cospicua organizzazione islamica in Italia).  

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Pace potrà essere, però, se toglieremo di mezzo le tre bugie bavose che ci hanno portato, ad avviso di chi scrive determinantemente, alla sciagurata fase attuale. 

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In primo luogo, la tutela degli insediamenti palestinesi e la necessità che quel popolo trovi finalmente una cornice giuridica degna, sia in “casa” che “fuori”, sia per il diritto israeliano sia per la comunità tra gli Stati, non hanno nulla a che vedere con l’antisemitismo. Né possono averlo. Proprio nell’Europa che sconta una limitata, ma reale, crescita di fenomeni antisemiti, provenienti non soltanto da quelle che etichettiamo come “destre estreme”, non è concepibile scambiare la libertà religiosa e i diritti civili del popolo ebraico con errori e misfatti del governo israeliano. Altrimenti diverremmo tutti e di nuovo “neoconfessionisti”: islamofobi, antisemiti, persecutori di cristiani (avviene anche in Medio Oriente) o feroci sanzionatori di atei e miscredenti. Tutto insieme o solo una di queste facce a turno: facce, sia chiaro, dello stesso dado, dello stesso cubo. Il paganissimo Dio dell’odio, più che l’odio di Dio. 

In secondo luogo, la condizione di vita dei palestinesi e la protezione giuridica dei loro bisogni non devono far dimenticare la piega che ha preso l’associazionismo politico in quei territori. C’è ormai una galassia associativa che, davanti a un territorio e a una popolazione relativamente piccole, si comporta spesso in modo clanico, occupandosi di avere sotto il pieno controllo il proprio pezzo. Il discorso collettivo che interessava un tempo socialisti palestinesi e federalisti e laburisti israeliani, musulmani di Israele e minoranze non musulmane in Palestina, è rimasto una delle poche cose realmente popolari al tempo della guerra. La più parte dei gruppi dirigenti, invece, ha capito come altrove che era più diretto, immediato, conveniente, togliere dal campo delle idee ogni proposta che non fosse la distruzione del nemico. 

Terzo e ultimo punto cruciale: la pace esiste e si costruisce quando si dismettono gli interessi di comodo, quando si ha il coraggio di dire chi ha appetiti e su che cosa. Per l’Ucraina non lo abbiamo fatto, preferendo un silenzioso stato di fatto nel 2014 e un tardivo e solo bellicista (perciò più impopolare) impegno a partire dal 2022, sempre meno giustificabile perché sempre più distante dai risultati che si sbandieravano. Con l’effetto paradossale che la contrarietà alle scelte sbagliate del passato viene riciclata dalle autocrazie come forma di sostegno a sé stesse, mentre migliaia di innocenti muoiono. Magari tra qualche mese di fame o di freddo. Bisogna interrompere lo stillicidio e smetterla di soffiare sul fuoco del disagio. Oggi tutto ciò avvantaggia chi se ne approfitta, domani andrà a loro discapito. E nel mentre i danni per ogni abitante del pianeta saranno divenuti irreversibili.

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