Il Castello Normanno-Svevo di Lamezia: quando la burocrazia soffoca la memoria

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Lamezia Terme, il parco urbano a ridosso del castello Normanno-svevo di San Teodoro
  23 agosto 2025 13:10

di FRANCESCO COSTANZO

A Lamezia Terme, il Castello Normanno-Svevo non è soltanto un rudere medievale che domina la piana: è il simbolo di una città che fatica a prendersi cura della propria storia. E oggi, più che mai, è anche il teatro di un paradosso tutto italiano: cittadini che vogliono restituire dignità a un monumento abbandonato vengono fermati dalle istituzioni che, in teoria, dovrebbero tutelarlo.

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Nei giorni scorsi, l’associazione “Nuovo Mondo” ha provato a ripulire il sito dalle erbacce e dai rifiuti, con l’intento di restituire decoro a un luogo che dovrebbe rappresentare l’identità lametina. Un gesto semplice, concreto, che ha però scatenato una reazione sproporzionata: intervento della polizia municipale, cartelli rimossi, un esposto in Procura. Il reato? Voler prendersi cura di un bene pubblico.

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Il Comune ha motivato l’intervento con ragioni formali: il castello è vincolato dalla Soprintendenza, ogni azione deve essere autorizzata. Nulla da eccepire sul piano giuridico. Ma sul piano politico e culturale, la vicenda solleva interrogativi inquietanti. Se i cittadini non possono intervenire, e le istituzioni non lo fanno, chi si prende cura del patrimonio?

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L’associazione aveva persino protocollato una proposta di gestione decennale, immaginando manutenzione, eventi culturali, valorizzazione. Un progetto ambizioso, forse ingenuo nei dettagli normativi, ma sicuramente animato da spirito civico. Invece di aprire un tavolo di confronto, l’amministrazione ha scelto la via repressiva, come se la tutela coincidesse con l’inaccessibilità.

Il Castello Normanno-Svevo, che potrebbe essere volano turistico e culturale, resta prigioniero di recinzioni, carte bollate e scaricabarile istituzionali. Le erbacce crescono, le mura si sgretolano, e la comunità che vorrebbe adottarlo viene trattata come intrusa. È il ritratto di una Calabria che soffoca tra cavilli e dinieghi, dove la legalità formale diventa alibi per l’inazione.

Chi difende l’abbandono con i regolamenti non tutela la storia: la condanna. E così, dietro i cancelli chiusi del castello, non resta che il silenzio. Un silenzio che parla di occasioni mancate, di responsabilità eluse, di una città che guarda il proprio passato crollare senza poterlo toccare.

Lamezia non ha bisogno di “no” burocratici, ma di un “sì” politico chiaro: aprire il castello, metterlo in sicurezza, restituirlo alla comunità. Coinvolgere le associazioni, ascoltare le proposte, costruire insieme un progetto di valorizzazione. Perché un monumento non vive di divieti, ma di relazioni, di cura, di memoria condivisa.

In un Paese normale, chi ripulisce un castello viene premiato. A Lamezia, viene fermato. È tempo di cambiare rotta, prima che anche la memoria diventi un bene vincolato: non dalla Soprintendenza, ma dall’indifferenza.

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