Il ritorno di Cecilia Sala: una vittoria da celebrare, una storia da non dimenticare

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images Il ritorno di Cecilia Sala: una vittoria da celebrare, una storia da non dimenticare

  08 gennaio 2025 19:07

di CARLO MIGNOLLI

L’attesa è stata lunga, interminabile, fatta di ore che sembravano giorni e giorni che sembravano mesi. Ma alla fine, dopo settimane di angoscia e silenzio, Cecilia Sala è tornata a casa. La giornalista, reporter del Foglio e voce del podcast Stories su Chora Media, era stata arrestata il 19 dicembre a Teheran, dove si trovava con un visto giornalistico di otto giorni per raccogliere materiale per i suoi articoli e puntate. Quella missione, però, si era trasformata in un incubo: il giorno prima del suo previsto rientro, Cecilia era stata fermata dalla polizia iraniana. L’accusa, vaga e pesante, era di “violazione della legge della Repubblica islamica”.

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Detenuta per oltre due settimane nel carcere di Evin, noto per ospitare dissidenti politici e prigionieri stranieri, Cecilia ha vissuto condizioni durissime: isolamento, una coperta per dormire sul pavimento, la luce accesa 24 ore su 24, e un accesso quasi nullo a comunicazioni esterne. Durante la detenzione, ha ricevuto una sola visita, quella dell’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei.

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Questa mattina, 8 gennaio, la notizia della sua liberazione è stata annunciata ai genitori dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che li ha chiamati personalmente. “Sono orgoglioso di lei”, ha dichiarato il padre Renato Sala, visibilmente commosso, all’ANSA. “In questa vicenda ho visto una partita a scacchi, ma a un certo punto la scacchiera si è affollata, e questo ha creato forti timori in me come genitore. Però confidavo nella forza di Cecilia: è una ragazza in gamba e tosta”.

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Accanto a lui, la madre di Cecilia Elisabetta Vernoni: “Quando mi ha detto che stava tornando aveva la voce di sempre, diversa da quella che ho sentito in questi giorni. Ieri ho avuto il sentore che stavamo entrando nella fase decisiva, dovevamo programmare un pacco da inviarle affinché sentisse la nostra vicinanza, ma abbiamo deciso di non farlo”.

Poco dopo l’annuncio ufficiale, Cecilia è finalmente sbarcata in Italia, accolta da un abbraccio carico di emozione con il compagno, Daniele Raineri. E forse non è un caso il video postato sui social proprio da Raineri: una clip del gol di Fabio Grosso nella semifinale del Mondiale 2006, accompagnata da queste parole: “Cecilia è libera, un grande lavoro italiano. Grazie a tutti”.

Ai suoi colleghi, Cecilia ha detto poche parole, semplici ma cariche di significato: “Ciao, sono tornata”.

 

Una vittoria della diplomazia e della libertà

La liberazione di Cecilia Sala è il risultato di un lavoro diplomatico instancabile. Il governo italiano, con Giorgia Meloni, Alfredo Mantovano, Antonio Tajani e l’ambasciata italiana a Teheran, ha dimostrato che la diplomazia silenziosa può portare a risultati concreti. Mario Calabresi, fondatore di Chora Media, ha voluto ringraziare pubblicamente “tutti gli apparati dello Stato italiano per l’eccezionale lavoro svolto”.

Ma questa storia non è solo una vittoria politica. Cecilia Sala non è solo una giornalista, rappresenta il coraggio di raccontare la verità, anche quando farlo comporta rischi enormi. In un mondo in cui il giornalismo è sempre più minacciato da censure e bavagli, la sua vicenda riafferma un principio fondamentale: il giornalismo non è mai un crimine.

Ora, con Cecilia finalmente a casa, resta il rischio che la sua storia venga dimenticata. La vicinanza e l’attenzione mediatica che oggi sono vive rischiano di spegnersi domani, come è già accaduto per tanti altri giornalisti italiani colpiti o rapiti all’estero.

 

La lunga scia di sangue

L’elenco degli inviati italiani presi di mira all’estero è lungo e doloroso. Diciannove giornalisti e operatori televisivi italiani sono stati uccisi fuori dai confini nazionali. Alcuni nomi sono noti: Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, assassinati a Mogadiscio nel 1994, mentre indagavano su traffici illeciti. Maria Grazia Cutuli, reporter del Corriere della Sera, uccisa in Afghanistan nel 2001. Enzo Baldoni, rapito e giustiziato in Iraq nel 2004. Andrea Rocchelli, morto nel 2014 in Ucraina, colpito da un mortaio mentre documentava il conflitto nel Donbass.

E poi ci sono le storie dimenticate, come quella di Graziella De Palo e Italo Toni, rapiti a Beirut nel 1980 e mai più ritrovati. O quella di Antonio Russo, torturato e ucciso in Georgia nel 2000 mentre documentava la guerra in Cecenia.

La storia di Cecilia Sala si è conclusa con un abbraccio e un ritorno a casa. Ma per molti altri giornalisti italiani il finale è stato diverso. Festeggiamo oggi il suo ritorno, ma ricordiamoci di chi non è più tornato. Perché il giornalismo è una missione e la libertà di raccontare il mondo non può mai essere data per scontata e la sua difesa richiede impegno, costanza e memoria.

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