di JOHN NISTICO'
Si prenda spunto dalla proposta di legge da parte del Senatore Franceschini per riflettere e meglio eccepire sui principi che sanciscono il diritto di esser figli di padre e madre, mantenendo “fede” al concepimento di una “bigenitorialità” quale obiettivo da diffondere ogni giorno. In Italia l’assegnazione ordinaria del solo cognome paterno è prevista mediante lo svolgersi di un iter di riconoscimento, salvo eccezione di altri motivi addotti fino e davanti al Giudice che dovrà, inevitabilmente, pronunciarsi.
L’ assunzione del cognome è un requisito importante quanto delicato, ritrae condizioni anche avverse nel caso in cui emerga il contradditorio tra le parti, come caso che si aggiunge alla questione sollevata, quando tra ex-coniugi, ed oggi ce ne siamo tanti, si vivono battaglie “legali” senza esclusione di colpi e come una guerra fredda nel difendere, affermare o “afferrare”, con le unghie e con i denti, si fa per dire, ognuno i propri diritti.
L’ex Ministro della Cultura Franceschini vorrebbe rimodulare, secondo un suo personale modo di vedere le cose, ciò che sarebbe utile alla donna nei contrasti alla discriminazione di genere, dando atto al retrocedere e “indebolimento” dei diritti, il più delle volte negati verso noi padri separati, noi che viviamo distanze estreme e, purtroppo, “irreversibili” a causa di lunghi processi che offuscano giorni fondamentali di crescita, nella costante ricerca di quel rapporto “paritario” soffocato da conflitti esasperanti e, in parecchi casi, anti-paternità sul discernimento dei “piccoli” figli contesi.
Si potrebbe sostenere un equo disegno di legge che comprenda e dimostri proprio l’uguaglianza tra padre e madre così coinvolti in quella limpida quanto sana “bigenitorialità”, a prescindere dalla separazione, ognuno espletando il proprio ruolo senza discriminazioni, dando già luogo ad una collaborativa quanto educativa risorsa contro l’errante istinto di prevaricazione familiare che affligge sempre il meno fortunato.
Questa recente proposta del 25 marzo 2025, assegnerebbe in via esclusiva il cognome materno, senza tener conto di quello paterno, nel vano riscatto della donna e madre che, però, rischia di sbiadire nella sua debita neutralità, virtù che, invece, andrebbe tutelata affermando il “libero” riconoscimento della prole nel poter assumere, finalmente, il cognome di “entrambi i genitori” e godere, semmai, di una maggiore prodezza identitaria.
Ritrovarsi a decidere in questa fase piuttosto ideologica, tra lungaggini e burocrati, forse giuristi per caso, in cerca di una “visione” capace di rimediare a casi “disperati”, sempre più assolati, subordinati alla revisione del Diritto di Famiglia, vuol dire affrontare i drammi della solitudine e dello sconforto.
Uguaglianza e sacrosanto diritto di procreazione dell’individuo, nel rispetto della sua genesi “naturale”, ma siamo ancora in trincea, vacillano, a volte, gli equilibri previsti nella “bigenitorialità” emessa dai Tribunali, così preoccupanti sulle molteplici quanto sottese violenze di genere, il più delle volte rese “invisibili”, ormai fattori estremi sulla difesa dei valori e principi “morali” che l’eventuale disegno di legge sia, prima o poi, uguale per tutti!
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