L'avv Conidi Ridola: "Non è una fiaba nel bosco, è un caso di tutela minorile"

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  02 dicembre 2025 08:51

di M.CLAUDIA CONIDI RIDOLA* 

Il caso della cosiddetta “famiglia nel bosco” impone una riflessione lucida, depurata dalle deformazioni mediatiche e dalle suggestioni romantiche legate alla vita “alternativa”.
 Quando la scelta genitoriale di ritirarsi in un contesto isolato privo di servizi essenziali incrocia i diritti fondamentali dei minori, l’intervento della giurisdizione non rappresenta un’ingerenza ideologica: costituisce un dovere costituzionale. La cornice normativa è chiarissima. Il superiore interesse del minore, principio cardine della Convenzione ONU e criterio direttivo di ogni provvedimento minorile, non è uno slogan e non tollera deroghe.

 La libertà educativa e la possibilità di adottare modelli di vita non convenzionali sono riconosciute, ma trovano un limite insuperabile laddove l’ambiente famigliare non assicuri la tutela della salute psicofisica, dell’istruzione, dell’igiene e delle basilari condizioni di sicurezza. Vivere senza acqua corrente, senza elettricità, senza adeguato accesso ai servizi sanitari, senza controlli pediatrici o presìdi minimi di prevenzione, non è una scelta culturale neutra: è una forma potenzialmente pregiudizievole, soprattutto quando riguarda soggetti incapaci di autodeterminarsi. Il diritto dei minori a un percorso di crescita completo include anche la possibilità di formare la propria identità in relazione con i pari, di sviluppare competenze affettive, emotive e psicosessuali in contesti sicuri e regolati. L’isolamento strutturale, privando i bambini di queste esperienze fondamentali, limita la costruzione di un’identità adulta autonoma e completa. Il “diritto a crescere nel mondo”, nel senso più essenziale e non ideologico possibile, comprende il diritto alle cure, alla socialità, all’istruzione e all’esposizione a contesti capaci di favorire lo sviluppo armonico della persona. La giurisprudenza è ferma nel riconoscere che il rifiuto di cure necessarie, la trascuratezza sanitaria o la collocazione dei figli in ambienti cronicamente insalubri integrano una situazione di grave pregiudizio: i diritti dei bambini, a differenza delle convinzioni dei genitori, non sono disponibili.

Non si tratta di giudicare la filosofia esistenziale della famiglia, ma la sua compatibilità con i parametri minimi della protezione minorile. L’allontanamento dalla casa nel bosco – seppur misura estrema – è previsto dalla legge proprio per i casi in cui il danno attuale o potenziale sia sufficientemente concreto da rendere inidonei interventi meno invasivi. È il rimedio più doloroso, ma anche il più garantito: richiede un accertamento puntuale, una motivazione stringente e un controllo continuo della proporzionalità. Su questo impianto rigoroso si innesta la presa di posizione del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, che, pur formalmente inquadrata nella richiesta di acquisizione degli atti, assume un peso politico evidente. La sua dichiarazione sulla “misura estrema” e sulla necessità di verifiche può essere letta come un esercizio legittimo dei poteri ministeriali, ma rischia, per tempistica e modalità, di accentuare la tensione già latente tra potere politico e giudiziario. Intervenire mentre il procedimento è in corso, senza avere esaminato gli atti, espone inevitabilmente a una lettura istituzionale problematicamente ambigua: da un lato la tutela della legalità, dall’altro la potenziale interferenza nel merito di decisioni tecniche che richiedono neutralità e indipendenza.

Il dibattito che ne è scaturito – oscillante tra chi denuncia un’ingerenza e chi invoca un ripristino di equilibrio – mostra quanto fragile sia, in materia di minori, la tenuta dell’analisi razionale quando vengono coinvolti sentimenti, ideologie e narrazioni semplificate. Eppure, in questo caso, la razionalità giuridica non lascia molti margini: il diritto dei genitori di vivere secondo uno stile di vita "alternativo"non può erodere il diritto primario dei figli a condizioni di vita sicure, alla protezione sanitaria, all’istruzione, alla socialità e alla crescita armonica, inclusa la possibilità di formare la propria identità affettiva e psicosessuale in contesti adeguati. La magistratura ha il dovere di impedirlo. La politica ha il dovere di non trasformare questo compito in terreno di conflitto istituzionale. La società, più di tutti, ha il dovere di non smarrire la misura delle cose: quando in gioco ci sono la salute, la crescita e lo sviluppo identitario dei bambini, non c’è romanticismo,nè richiamo alla natura che tenga.

*Avvocato


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