
di SETTIMIO PAONE
Sulle colline che guardano il Golfo di Squillace, fra Montauro e Gasperina, resistono ancora oggi le pietre possenti della Grangia di Sant’Anna, una delle più antiche testimonianze della presenza monastica certosina in Calabria. Un luogo dove il tempo pare essersi fermato, tra le rovine di mura merlate e torri che raccontano di preghiera, lavoro e silenzio. Le origini del complesso risalgono alla fine dell’XI secolo, quando Ruggero d’Altavilla donò ai monaci legati a San Bruno di Colonia alcune terre nel territorio montaurose. Lì nacque una prima “grangia”, termine che deriva da granea – granaio – e che nel Medioevo indicava i poderi agricoli fortificati gestiti dai monaci. Non si trattava soltanto di un magazzino di granaglie, ma di un vero e proprio centro produttivo e spirituale, dove i religiosi lavoravano la terra, custodivano sementi, allevavano bestiame e offrivano ospitalità ai viandanti.
In origine la struttura era dedicata a San Giacomo, ma nel 1193, con il passaggio dei beni certosini ai Cistercensi, assunse il titolo di Sant’Anna, che mantiene tuttora. Tornò poi ai Certosini nel 1514, continuando per secoli a essere un punto di riferimento per l’economia rurale della zona.
La Grangia di Montauro era fortificata: un grande rettangolo di mura con torri agli angoli, un portale d’ingresso a ovest e un sistema di feritoie che rivelano l’esigenza di difendersi da scorrerie e incursioni. All’interno trovavano posto una piccola chiesa, le stanze dei monaci, i magazzini, i forni e gli ambienti destinati alla lavorazione dei prodotti agricoli.Un terremoto devastante nel 1783 ne segnò la fine, lasciando il complesso in rovina. Ciò che rimane, tuttavia, conserva ancora la maestosità del passato: muri spessi, arcate di pietra, tracce di affreschi e di antiche finestre che si aprono verso il mare.
Nel corso degli ultimi anni la Soprintendenza ha condotto ricerche archeologiche sotto la direzione della dottoressa Chiara Raimondo, riportando in luce elementi significativi delle diverse fasi costruttive e alcuni reperti di grande interesse, oggi conservati nel Museo della Grangia di Sant’Anna allestito presso Palazzo Zizzi di Montauro. Tra questi, frammenti di ceramiche, oggetti liturgici, candelabri e persino resti umani rinvenuti in una cripta.
Dopo la soppressione degli ordini religiosi in epoca napoleonica, la Grangia fu venduta nel 1808 al barone Emmanuele De Nobili, e successivamente, nel 1852, passò alla Diocesi di Squillace. Da allora il sito è rimasto in parte di proprietà privata, ma continua ad attrarre studiosi, escursionisti e curiosi che risalgono i sentieri collinari per ammirarne le rovine immerse nel verde. Oggi la Grangia di Sant’Anna non è solo un luogo di memoria, ma anche un simbolo identitario per la comunità di Montauro, che nella sua pietra antica riconosce le radici di una civiltà agricola e spirituale capace di coniugare lavoro e contemplazione. In un territorio che conserva ancora il fascino del silenzio e del mare lontano, la Grangia continua a vegliare, sentinella di pietra su un paesaggio che da secoli intreccia fede, storia e natura.
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