
Con un passato grandioso e antico lasciato a macerare sotto il sole cocente delle spiagge estive, la Calabria fa i conti con le congiunture economiche nazionali e internazionali, crogiolandosi tra passerelle lussureggianti, illusioni faraoniche e fasti o tabarini sibaritici. E nel frattempo trascura i giovani.
01 dicembre 2025 15:09di ETTORE BRUNO, ALESSANDRA PASQUA, LEONARDO SPATARO*
E’ giunto, per noi Calabresi, il momento di chiederci per quanto tempo ancora dovremo portare sulle spalle il peso delle retoriche passate e delle contro-retoriche dei giorni nostri, delle narrazioni stantie e delle contro-narrazioni da Libro Cuore, se nel frattempo la maglia calabrese non smette di tingersi di nero, in Italia e in Europa. Quanto tempo, infatti, ci resta per continuare a gongolare tra passerelle lussureggianti e apparenze o tra slogan triti e ritriti e proclami trionfalistici a cui affidare l’illusione di un futuro roseo, se con i dazi americani e l’Autonomia differenziata nonché con le spese per il riarmo europeo e lo spirare del PNRR, all’orizzonte cominciano a comparire prospettive ancora più grigiastre della condizione attuale?
Si tratta di interrogativi ai quali è difficile rispondere. E tuttavia, alla Terra che in un passato distante era il centro geopolitico e commerciale del Mediterraneo e d’Europa e in tempi più recenti sfornava pensatori di rilievo universale necessita un cambiamento vero e serio. Prima che la Calabria muoia, infatti, di spopolamento per denatalità ed emigrazione e conseguente desertificazione commerciale e imprenditoriale, di insufficienze nella sanità pubblica, di scarsità di infrastrutture e di Alta Velocità che non arriva, l’avvio di una grande rivoluzione lato sensu culturale non è ormai più rinviabile.
La questione del Ponte sullo Stretto nasce da una visione politica imposta dall’alto (dettata dal proposito di edificare un’opera che rappresenti il simbolo della capacità progettuale e della creatività che storicamente hanno contraddistinto il Belpaese?) che tuttavia manca di dare il giusto peso alle spinose questioni tecniche e alle problematiche riguardanti la stabilità e la sicurezza dell’opera, nonché a quelle, annose, che ruotano attorno ai costi, all’impatto ambientale e alla sostenibilità. Il proposito del governo centrale, infatti, sembra imporsi per rispondere a una logica, in tutto discutibile, di avviare lo sviluppo della Regione con un’opera-simbolo che con le sue dimensioni da primato costituirebbe forse l’ottava meraviglia del mondo. Eppure, il Ponte sullo Stretto dividerebbe più che unire le due sponde, considerando la carenza di infrastrutture e la viabilità insufficiente e a tratti assente nelle terre da unire e alla luce degli ultimi provvedimenti europei che sembrano escludere la Calabria dall’Alta Velocità. Pur tralasciando le ragioni del "no" alla struttura di cui alle motivazioni della Corte dei Conti e le innumerevoli e di varia natura questioni relative all’allestimento di essa, se i luoghi dell'ormai famigerato Ponte evocano i miti omerici delle Sirene e dei mostri Scilla e Cariddi, i tempi presenti impongono più che illusioni di grandezza un urgente richiamo al senso di responsabilità verso le giovani generazioni, che così poco sanno di quanto grande e impegnativa sia l’eredità storica loro spettante.
Non servono, infatti, i gesti eclatanti né i propositi di opere faraoniche e neppure l’intensità di un evento. Il cambiamento reale passa, diversamente, dall’educazione della memoria a partire proprio dalle aule scolastiche: le ragazze e i ragazzi di Calabria ce lo chiedono in modo implicito e purtroppo inconsapevole. Basta frequentare le nostre scuole e non soltanto la sterminata convegnistica per rendersi conto che questa è l’esigenza giovanile di fondo.
In quest’ottica, i governi, specialmente quelli regionali, non devono manifestare propositi di evocare i fasti dell’Antica Sibari e il panem et circenses della Roma imperiale, privilegiando le feste, i cotillon e i grandi eventi. E se per il terzo anno consecutivo lo spettacolo del capodanno della Tv di Stato si terrà in Calabria, la retorica della grandeur richiede costi enormi che la popolazione locale, già attanagliata dalla povertà economica e culturale, deve pur sempre sobbarcarsi. Quante strade, piccole o grandi, male o per niente illuminate si potrebbero riparare o illuminare con quel che costa il "potere di distrazione"? Quanti piccoli musei comunali e parrocchiali o biblioteche pubbliche si potrebbero finanziare per creare una rete culturale in una regione che ha dimenticato il suo passato glorioso?
Pitagora, Erodoto, Lisia, Zaleuco, Nosside, Eutimo, Milone, Ibico, Stesicoro, Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, Tommaso Campanella, Bernardino Telesio, Mattia Preti: l’elenco degli illustri di Calabria potrebbe continuare ancora a lungo. Cosa riescono ancora ad evocare questi nomi? Di molti di essi non si tratta più nei libri di scuola. Spetta ai Calabresi valorizzare e ricordare anzitutto a se stessi le personalità che hanno contribuito nel tempo ad arricchire il patrimonio culturale della regione. Nella punta dello Stivale deve crescere, a parere degli scriventi, la consapevolezza che l’idea di un buon futuro non può e non deve prescindere dal passato grandioso.
Eppure, i Calabresi dividono con l’ospite il meglio di ciò che hanno, si aprono al dialogo, narrano le loro storie e si riempiono delle storie altrui, costruendo ponti umani in una terra che da cuore pulsante del Mediterraneo è purtroppo divenuta isola, in salum, nel mare, immobile fra il movimento delle onde, l’agitazione dei flutti, la corrente del tempo che scorre.
E’ vitale andare oltre la contrapposizione delle opinioni, superare la visione personalistica della Calabria per costruirne una diversa, sinfonica e corale che incorpori quei brani di bene che ciascuno ha maturato nel proprio cammino. Tale approccio, però, esige un’umiltà faticosa, stante il narcisismo che spesso connota le persone di cultura. Occorre incontrarsi, raccontarsi e condividere almeno un pezzo di strada, imparando dall’altro ciò che non ci è familiare e viceversa.
Così, se la Sanità pubblica calabrese è in stallo, la disoccupazione alle stelle e secondo gli indicatori economici e sociali la Regione è stabilmente inchiodata in fondo alle classifiche europee – non occorre richiamare nello specifico dati, report e statistiche, bastando al lettore consultare un qualsiasi motore di ricerca digitale affiancando alla parola "Calabria" espressioni quali "maglia nera" o "fanalino di coda" per farsi un’idea della condizione in cui oggi versa la Terra prediletta da Lisia, Erodoto e Pitagora –, è in tutto inutile continuare a crogiolarsi fra chiacchiere, eccellenze spesso inventate e slogan agitati a mo’ di disco rotto. Diversamente, occorre prendere coscienza del valore storico, comprendere il contributo e la funzione che le comunità locali hanno svolto fra i popoli europei. La cultura calabrese si fonda sulla tradizione dell’accoglienza che si è tramandata nei millenni, a partire dagli Antichi Sibariti, che pur immersi nei vizi concedevano la cittadinanza a chiunque entrasse in città. Forse da qui occorre ripartire, poiché sono ormai giunti i tempi di lasciarci alle spalle l’illusione di opere faraoniche e di edonismo sibaritico, i decibel e i fuochi pirotecnici roboanti con i loro effetti sulla salute umana e sugli ecosistemi.
*Ettore BRUNO, autore giuridico e studioso di diritti dell’antichità; Alessandra PASQUA, architetto e saggista; Leonardo SPATARO, filosofo e docente
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