di BRUNO PALERMO*
Dopo 16 giorni riesco ad avere pochi minuti di pausa mentale. Viaggio su un treno che porta via il mio involucro umano da Crotone e Steccato di Cutro, mentre la mia anima e il mio cuore restano.
In questa breve pausa vorrei raccontarvi la partita tra cuore e cervello, tra istinto e razionalità.
13 marzo, metà mattinata e siamo come ogni giorno davanti al PalaMilone. Arriva #Nello dell’associazione #Sabir, ha in mano un pallone, non un pallone qualunque, un Super Santos, confezionato nella retina. Lo vendono ancora così. Chiedo e la riposta è: “Aspetta ti faccio vedere”.
Poco dopo arriva un ragazzino (poi scoprirò che ha 12 anni). Palleggia e cammina col pallone ai piedi. Ma che bravo, penso. Manuelita e #Nello mi dicono che è uno dei superstiti del naufragio. C’è anche il padre: la mamma e le sorelline non ci sono più, il fratellino più piccolo è ancora tra i dispersi. Cerchiamo, tramite il volontario di Sabir, di comunicare con lui. #Nello traduce con Google dall’italiano al turco e viceversa. Il piccolo è afgano, ma ha vissuto in Turchia prima di dover scappare anche da lì con la famiglia perché non hanno avuto la protezione internazionale. Vogliono raggiungere i parenti in Germania. In Turchia il ragazzino giocava in una piccola squadra giovanile affiliata al Besiktas. Ci lasciamo e lui continua a palleggiare.
Sono passate da un po’ le 15:30, squilla il telefono, è Francesca: “Ho avuto un’idea, che ne dici se portiamo il piccolino allo stadio stasera?”. Ottima idea, mi attivo subito. Chiamo Manuelita e poi #Ramzi: “Ti facciamo sapere”. Poco dopo la risposta: “Viene molto volentieri, ma ci dovrebbe essere anche il papà”, nessun problema. Chiamo #Rocco e chiedo se è possibile fare i biglietti, risposta: “Nessun problema, mi servono solo i dati”. Perfetto, richiamo Ramzi e dico che passeremo a prenderli intorno alle 19:20.
Sono quasi le 19:00, Antonio è un mio fraterno amico e collega di Catanzaro, sta arrivando sotto casa mia. Gli racconto la storia e lo coinvolgiamo anche per il minuto di silenzio in tribuna stampa per la nostra collega afgana #TorpekaiAmarkhel. Antonio si mette subito a disposizione e parla con i colleghi di Catanzaro. Ci avviamo e arriviamo davanti al PalaMilone. Ho sbagliato, il piccolino e suo padre non sono qui, ma intanto Antonio è sceso ed è andato davanti a quel “muro del pianto” (come lo chiama Vincenzo).
È senza parole, guarda e trattiene a stento la rabbia, poi nota le foto dei bambini e per lui è un colpo al cuore. Cerco di fargli capire perché in tutti questi giorni in cui mi chiamava sembravo così disinteressato alla partita. Non c’è bisogno di aggiungere altro, Antonio ha capito subito e chi vede quello che c’è davanti al PalaMilone intuisce e il resto scompare, figuriamoci chi, come noi, dal 26 febbraio, dalla spiaggia di Steccato di Cutro e dal PalaMilone, non si è quasi mai mosso.
Ore 19:40 passiamo a prendere Francesca e andiamo all’albergo dove ci aspettano il piccolino e il papà. Nel frattempo siamo passati a prendere due kebab perché altrimenti loro avrebbero saltato la cena. Francesca va a chiamarli e io e Antonio siamo quasi in religioso silenzio, li guardiamo solo negli occhi e null’altro.
Apro gli sportelli della macchina come un automa. Ci avviamo allo stadio, siamo emozionati, combattuti, vorremmo piangere e rompere tutto, anche la macchina, ma gli occhi del papà dicono che non si può, perché adesso c’è il piccolino a cui pensare. E il piccolino è emozionato, comunichiamo sempre con Google, turco e farsi. Entriamo, li facciamo sedere e con Antonio e Francesca andiamo in Tribuna stampa a distribuire il pass di Torpekai ai colleghi di Crotone e Catanzaro.
La partita è bella e il piccolino ha voglia di fare vedere allo zio dove si trova, cosa stanno facendo. Finisce il primo tempo, ora il Kebab si può mangiare, anche se freddo è buono. Il papà vuole una foto di noi tre, eccola. Poi il piccolino mi fa vedere la foto delle sorelline e del fratellino più piccolo. Prende il cellulare e traduce in italiano: “Lui è ancora disperso” e subito dopo “Che dio abbia pietà delle mie sorelline”.
Rocco arriva col presidente che regala al piccolino la maglia di #Golemic. Il papà, sempre con grande dignità e grande forza d’animo, stringe la mano al presidente che proprio non riesce a trattenersi e abbraccia e bacia il piccolino. La commozione per noi che sappiamo dove siamo e con chi siamo è enorme.
Finisce la partita, il piccolino accenna un sorriso, il papà anche perché vede quello del figlio. Chiedo se vuole vedere le interviste, annuisce subito col capo e andiamo giù.
Sala stampa, il piccolino guarda ammirato, poi gli scrivo: “Quando diventerai un calciatore famoso le faranno a te le interviste”, accenna un sorriso e fa cenno di no col capo. Usciamo e ci avviamo verso l’albergo. Antonio dice: “Vorrei fermare questo momento”.
Stiamo per arrivare e il piccolino da dietro mi fa vedere il suo cellulare con la traduzione dal turco all’italiano: “Grazie, grazie mille, ci avete regalato un po’ di felicità”. Li abbracciamo, forte, tratteniamo le lacrime a stento, non si può, né per il piccolino né per il papà. Le lacrime ce le teniamo dentro e fuori sorridiamo, perché il piccolino ha già pianto tanto e il papà piange dentro, ogni minuto, ogni secondo.
Mi raccomando piccolino, anche quando andrai in Germania scrivici. Mi raccomando piccolino, abbi cura di te e del tuo papà, e chissà se tornerai a sorridere. Tu ci hai regalato i tuoi occhi che porteremo per sempre con noi.
*corrispondente SkySport Calabria
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