L'avv Conidi Ridola: “Separare per garantire perché la magistratura italiana ha bisogno di due percorsi distinti”

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images L'avv Conidi Ridola: “Separare per garantire perché la magistratura italiana ha bisogno di due percorsi distinti”
L’avvocato Claudia Conidi Ridola
  07 settembre 2025 11:21

di M.CLAUDIA CONIDI RIDOLA  *


Nel cuore della discussione sulla riforma della giustizia italiana spicca il tema della separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. Una proposta che non è solo simbolica, ma cruciale per rafforzare l’imparzialità e la fiducia nel sistema giudiziario.

Banner

In Italia, giudici e pubblici ministeri condividono oggi formazione, progressione di carriera e organo di autogoverno (il CSM). Ciò crea una contiguità culturale che può minare la percezione – e talvolta la realtà – della neutralità del giudice. La riforma prevede carriere separate già dall’inizio della formazione del magistrato, impedendo cambi di ruolo futuri. In tal modo si garantisce che il giudice sia effettivamente super partes.
Il sistema attuale consente, seppur limitatamente, in particolare nei primi anni di carriera, il passaggio tra funzioni requirenti e giudicanti. Pur statisticamente marginali, questi casi alimentano sospetti e incertezze. La separazione delle carriere spezza il legame tra accusa e giudizio, evitando conflitti di interesse e rafforzando la trasparenza. L’Italia è fra pochi Paesi occidentali a mantenere un ordine giudiziario unitario. In Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, al contrario, PM e giudici operano in strutture separate, contribuendo a una maggiore chiarezza istituzionale. Adeguarsi a queste prassi rafforza il prestigio del sistema giudiziario e ne incentiva la modernizzazione. Un percorso indipendente per il pubblico ministero ne valorizza la funzione inquirente. Con ruoli ben distinti, il PM può svolgere il proprio compito – accertare i fatti e rappresentare la pubblica accusa – con maggiore autonomia e responsabilità, senza il timore di simbiosi con la magistratura giudicante.
Il Consiglio dell’Organismo Congressuale Forense (OCF) ha espresso pieno sostegno alla riforma, apprezzando il suo “approccio minimalista” e privo di rischi sostanziali. Il Governo ha strutturato la proposta in otto articoli costituzionali, introducendo due Consigli Superiori della Magistratura separati (entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica), con membri scelti tramite sorteggio, e una nuova Alta Corte Disciplinare per gestire eventuali illeciti.

Banner

Critiche sostengono che la riforma contrasterebbe con il principio dell’unitarietà dell’ordine giudiziario (articoli 104 e 107 Cost.). Tuttavia, la Corte Costituzionale e la pratica mostrano ampi margini di manovra, come dimostra la sentenza n. 37 del 2000, che già affermava la possibilità di distinzione funzionale anche nell’ambito di una carriera unitaria. La riforma, oltre a rispettare il principio dell’autonomia, lo rafforza, disponendo di strutture disciplinari e di autogoverno adeguate e indipendenti. Il consolidato sforamento dei tempi processuali, scandali di nomine (si pensi al caso Palamara), e la percezione di autoreferenzialità del CSM generano sfiducia nell’opinione pubblica. Separare le carriere è un passo concreto verso procedure più trasparenti, percorsi meritocratici e responsabilità istituzionale, tutti elementi fondamentali per restituire credibilità allo Stato di diritto.
C’è un termine che ben descrive la libertà intellettuale di molte professioni, ma che non può essere applicato alla magistratura: l’ecletticità. Il giudice e il pubblico ministero, per definizione, devono avere una visione unitaria e coerente del proprio ruolo. Il giudice interpreta la realtà processuale dal punto di vista della terzietà, il PM da quello dell’accusa. Entrambi possono affrontare molteplici materie — civile, penale, lavoro, amministrativo — ma sempre e solo secondo l’ottica che hanno assunto sin dall’ingresso in carriera.
L’avvocato, al contrario, può spaziare tra i rami del diritto e mantenere, in ogni caso, l’ottica difensiva, sua funzione essenziale e non scindibile. Così come l’avvocato non può indossare la toga dell’accusa o quella della decisione, anche il magistrato non può oscillare tra ruoli così radicalmente diversi senza pregiudicare la propria identità funzionale. Ecco perché è fondamentale che la scelta iniziale – PM o giudice – sia definitiva: essa rappresenta non solo un percorso di carriera, ma un atto di identificazione professionale e deontologica. Anzi, proprio perché la funzione del magistrato è delicatissima, si potrebbe introdurre una valutazione attitudinale e psico-comportamentale al momento dell’accesso alla carriera, così da garantire equilibrio, imparzialità e coerenza con il ruolo scelto. Sarebbe un passo ulteriore verso una giustizia più affidabile, al riparo da conflitti interni e da percezioni di incertezza.

Banner

Un ulteriore punto di riflessione riguarda il rapporto tra la professione forense e l’accesso alla magistratura onoraria o togata. Spesso, nel nostro ordinamento, è stato previsto che un avvocato possa diventare giudice onorario (come il vice pretore onorario, oggi sostituito da figure come i giudici onorari di pace). Tuttavia, questa possibilità apre un vulnus al principio di coerenza dei ruoli. Se l’avvocato sceglie l’ottica difensiva, deve restare ancorato a quella funzione, senza possibilità di trasformare eventuali frustrazioni professionali in leve di giudizio o poteri di accusa. Il diritto deve essere uguale per tutti: anche per gli avvocati, dunque, occorre coerenza e stabilità di percorso. Così come si chiede al magistrato di identificarsi ab origine con la propria funzione, allo stesso modo si dovrebbe impedire all’avvocato di oscillare tra difesa e giudizio. Una riforma moderna dovrebbe sancire chiaramente che gli avvocati restano avvocati e i magistrati restano magistrati, in nome della trasparenza, della certezza dei ruoli e della tutela della fiducia dei cittadini. La separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente non è un capriccio ideologico, ma una riforma necessaria per rafforzare la terzietà, la chiarezza dei ruoli, l’autonomia del PM e la fiducia nella giustizia. È una proposta calibrata, dotata di corpo normativo e garanzie, sostenuta dall’avvocatura e ispirata ai migliori modelli internazionali. Uno Stato moderno ha il dovere di aggiornare il proprio sistema giudiziario in nome dell'equilibrio, della trasparenza e della tutela dei diritti.


*AVVOCATO

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner