di MARIA CLAUDIA CONIDI RIDOLA*
Da avvocato non posso restare in silenzio di fronte al paradosso che caratterizza oggi il dibattito sull’esposizione mediatica della magistratura: da una parte si guarda con sospetto a ogni parola di un giudice o di un pubblico ministero, dall’altra si concede enorme spazio a chi inneggia all’illegalità, canta contro gli “sbirri” o trasforma il mafioso in un eroe popolare. La Costituzione, invece, non impone ai magistrati il silenzio ma soltanto la fedeltà alla legge, e tutela per tutti la libertà di manifestazione del pensiero. In questo contesto la voce di Nicola Gratteri è diventata simbolo di coraggio e coerenza: ha denunciato che “il 41 bis è stato svuotato di contenuti… il senso del 41 bis è impedire che il detenuto mandi messaggi all’esterno, ma purtroppo è sempre meno duro”, ha definito “una norma grottesca” l’interrogatorio preventivo che consente all’indagato di cancellare le prove, ha spiegato che “in un solo giorno il mio ufficio ha sequestrato 500 milioni, con una sola operazione ci siamo pagati tre anni di intercettazioni”, ha raccontato senza filtri che “in media ci sono cento telefoni per ogni carcere, introdotti con droni o altri sistemi”, proponendo quindi l’uso di jammer per neutralizzarli, e ha ribadito che “l’ergastolo ostativo unito al 41 bis è la garanzia che il boss non uscirà mai, se cade questa barriera crolla tutta la lotta alla mafia”.
A fronte di una voce così netta, le critiche non sono mancate: alcuni hanno bollato come “fallimenti” i grandi processi da lui diretti, dimenticando che la giustizia non si esaurisce in un singolo grado né in una singola sentenza, ma si esercita su più piani, con strumenti diversi e tempi complessi. Altri, sui social, hanno trasformato la critica in insulto gratuito, arrivando a dileggiarlo con appellativi come “Gratt Man”, in una caricatura offensiva che trovo assolutamente inappropriata. È vero che la libertà di manifestazione del pensiero è un diritto fondamentale, ma proprio perché è un diritto sacro non deve mai degenerare in ludibrio: la critica si fa sugli atti, sulle idee, mai sulla persona, tantomeno su chi mette a rischio la propria vita per difendere lo Stato. Ridicolizzare Gratteri significa ridicolizzare la dignità della funzione giudiziaria e la stessa idea di giustizia che egli rappresenta. La vera domanda non è se i magistrati parlino troppo, ma perché si conceda tanto spazio a chi inneggia all’illegalità e si provi invece a zittire o a ridicolizzare chi difende la legalità con coraggio e con proposte concrete. E la risposta, da giurista, è chiara: non bisogna temere la voce della giustizia, bisogna temere il silenzio, perché il silenzio lascia campo libero a chi vuole normalizzare l’illegalità.
*avvocato
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