Marcello Furriolo: "Dal ricordo di Casalinuovo l'importanza di tramandare per cambiare la narrazione che imperversa sulla Calabria"

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images Marcello Furriolo: "Dal ricordo di Casalinuovo l'importanza di tramandare per cambiare la narrazione che imperversa sulla Calabria"
Marcello Furriolo
  22 aprile 2024 11:40

di MARCELLO FURRIOLO

In questi giorni oltre che di candidature alle prossime elezioni europee, rigorosamente imposte dai vertici romani e di “antifascismo” in tutte le declinazioni non sempre disinteressate,  si discute della “narrazione” della Calabria, rimasta incagliata, nell’ultimo mezzo secolo, su stereotipi mediatici e letterari e su “Pregiudizi” che condannano la regione in un limbo di immagine, economico e sociale, dal quale è difficile uscire. Malgrado l’impegno di chi la governa. Del Governatore e sicuramente di tanti Sindaci dei piccoli Comuni, che rappresentano il vero patrimonio “culturale”, su cui può ancora costruirsi la speranza per un futuro diverso.

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Ma sicuramente non basta.

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Eppure c’è un’altra Calabria che, malgrado tutto, ha la forza e l’energia per esprimere con intelligenza e con passione la sua voglia e il proprio anelito ad affermare un’altra immagine e aspirare ad un altro destino. Perché ne sono stati capaci in altri momenti e ne sono stati testimoni e protagonisti uomini e donne di questa terra. Con dignità e qualità umane, professionali e politiche, che meritano di essere ricordati e “tramandati”.

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L’altra sera a Catanzaro si sono ritrovati in tantissimi, come non si vedeva da tempo, per ricordare la figura, “il Giurista e il Politico Mario Casalinuovo” a sei anni dalla scomparsa.

LEGGI QUI LA CRONACA DELLA CERIMONIA

Un incontro fortemente voluto dal figlio di Mario, Aldo che segue con notevole apprezzamento le orme del padre nella professione forense. Il convegno ha visto tra gli oratori figure eccelse dell’avvocatura penalistica nazionale come il professore Nico D’Ascola e apprezzati Avvocati del Foro catanzarese come Vincenzo Ioppoli e Giuseppe Carvelli e della politica come Bobo Craxi, coraggioso figlio del grande Bettino. Una serata, ben condotta da Filippo Veltri, in cui si è celebrato anche con accenti appassionati, come ha saputo fare Leopoldo Chieffallo e non scontatamente nostalgici, l’orgoglio socialista calabrese. Che in questa regione ha visto momenti di enorme successo, raggiungendo punte del 28% del consenso elettorale, proprio quando il partito era governato da uomini come Giacomo Mancini, Francesco Principe e Mario Casalinuovo. Eppure in questa atmosfera, tra il celebrativo  e l’identitario, non ho avvertito alcun disagio, da democristiano di ieri e di oggi. Anzi mi sentivo partecipe di quel mondo, di quelle atmosfere politiche e professionali in cui si dibattevano e si difendevano con coraggio e autonomia intellettuale valori autentici di democrazia, di libertà e di avanzamento sociale. E proprio sulla libertà quale collante indissolubile tra politica e avvocatura Nico D’Ascola ha svolto alcuni passaggi della sua mirabile “lectio”, che meriterebbero di essere ascoltati nelle aule parlamentari, universitarie e nelle aule di giustizia, mentre si perpetua il grande scontro tra politica e magistratura, che mette in gioco i diritti fondamentali dei cittadini e l’equilibrio dei poteri dello Stato.

La grande lezione di una figura come Mario Casalinuovo, che ho avuto il privilegio di avere come autorevole collega in un prestigioso Consiglio Comunale e del quale, maniaco della puntualità, mi divertivo a subire  le ironiche tirate ad ogni mio proverbiale ritardo nelle riunioni, risiede sicuramente nell’avere rappresentato l’immagine non del calabrese, ma del giurista e del politico di dimensione nazionale, non locale o peggio provinciale. Perché Casalinuovo, padre del Primo Statuto della Regione Calabria, apparteneva a quella categoria superiore di politici come Misasi, Mancini, Principe, Gullo, Pucci, Cassiani e di giuristi come Arnaldo Pugliese, Aldo Casalinuovo, Alfredo e oggi Nicola Cantafora e tanti altri, appartenenti alla “Grande Avvocatura”, che hanno saputo coniugare gli interessi locali in una visione generale e quindi nazionale. Uomini per i quali essere calabresi non era un marchio di inferiorità, ma un dato di fierezza e di intelligenza acuta e profonda, di cultura universale dalle radici antiche che veniva apprezzata e riconosciuta in tutti i contesti.

E non è neanche un caso che questi uomini appartenessero a grandi famiglie della migliore borghesia calabrese, che hanno animato tutti i grandi avvenimenti che hanno segnato il rinnovamento della società meridionale. Peccato che il Sindaco di Catanzaro, nel suo rapido indirizzo di saluto, non abbia rilevato questo elemento, da cui, forse, occorrerebbe ripartire per invertire la logica del declino della nostra città.

La parola chiave  dell’incontro dell’altra sera è stata, appunto, “ tramandare “. Un verbo che  dovrebbe diventare un imperativo categorico di una terra che ha bisogno della memoria per ritrovare una nuova identità nella competizione per superare le disuguaglianze, in un percorso incompiuto verso la modernità.      

Quegli uomini autenticamente calabresi, nei difficili anni 70 e 80, pur in presenza della stessa criminalità organizzata e di complesse congiunture economiche e sociali, non subivano l’handicap di stereotipi e pregiudizi perché la qualità indiscussa del loro impegno politico o professionale  era più forte e apprezzata delle disuguaglianze territoriali.

Ecco allora che, forse, cambiare la “narrazione” che imperversa sulla Calabria e sui caratteri identitari dei calabresi potrebbe partire proprio dalla capacità di “tramandare” alle nuove generazioni i modelli e gli esempi fulgidi di quegli uomini, come Mario Casalinuovo e tanti altri, che hanno lasciato un segno indelebile di probità, visione politica e dottrina ispirati ai valori della democrazia, della libertà, della cultura dei diritti e dell’avanzamento sociale dei più deboli.                                               

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