Maria Marino: “Lo stupro di Palermo, ma non solo”

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La docente Maria Marino
  22 agosto 2023 09:18

di MARIA MARINO*

Il branco è sempre presente, nonostante l’evoluzione della specie restano ancora elementi allo stato brado, non civilizzati, non educati, però dotati anch’essi dell’intelligenza di cui Dio ha fatto dono all’essere umano per distinguerlo dalle bestie e per poterle governare. Ed è proprio l’intelligenza che consente a questi umanoidi la premeditazione, capacità che alcune specie animali hanno comunque, seppur privi della prima. Questa capacità ci consente di catalogare quei sette di Palermo tra le bestie senza timore di essere smentiti: la loro capacità di organizzarsi e fare branco (animalesco dunque) è in tutto uguale a quello di quegli animali che, nell’organizzazione della caccia affidano a ciascun membro del branco un ruolo specifico, che non è certo quello di filmare col cellulare, sarà di altra e ben più alta valenza (la fame), ma pur sempre un ruolo. In cosa dunque quei sette possono essere assimilati agli esseri umani? Nella malvagità che la storia dell’umanità c’insegna, in quegli orrori storici studiati sui libri di scuola, nel concepimento stesso di azioni innaturali divenuti tali nel tempo, per tutta una serie di diritti e doveri che con la civilizzazione dei popoli sono stati universalmente riconosciuti, diritti e doveri umani tutelati che evidentemente quei sette non hanno ancora conosciuto e perciò sono rimasti allo stato brado nel percorso verso l’emancipazione individuale prima e sociale poi.

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Data la giovane età si è portati a sminuire la cosa, la stessa decisione di mandare in comunità il minore al tempo del fattaccio, solo perché ha fatto i nomi dei componenti il branco, dimostra come alla fine si concede quasi anche un premio per la collaborazione ricevuta (bene il ricorso in arrivo!), come non fosse un dovere anche per lui dichiarare il nome dei complici, bastardi più di lui.

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Lo stupro è un fatto indegno per la razza umana, un fatto di cui vergognarsi che non può avere e non ha alcuna scusante; non è ammissibile alcuna comprensione per come la povera diciannovenne è stata ridotta, stuprata, picchiata e lasciata per strada da quelli, indegni di essere catalogati nell’insieme genetico dell’essere umano. 

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E come loro i tanti maschi maltrattanti, nessuno escluso!

Quelli che dopo pochi anni di galera, nel migliore dei buoni casi di giustizia, tornano a girare liberi per le strade come se nulla fosse, tutelati da una legge, a volte anche solo procedurale, che considera ancora nei fatti lo stupro un reato minore!

A nulla servono le morti, anche postume alla violenza, o le manifestazioni di sensibilizzazione, o l’educazione sessuale ed emotiva divenuta oggi oggetto d’insegnamento anche a scuola, quel branco violento e maschilista è sempre qui tra noi, con le stesse caratteristiche, le stesse logiche di oggettivizzazione della femmina, con lo stesso senso di possesso ossessivo della donna (il massacro del Circeo è ancora vivo nel ricordo di tanti). Non si riesce ancora, purtroppo, a trovare un modo che ne impedisca il suo generarsi ed il suo entrare in azione, che impedisca anche solo il pensiero di poter realizzare progetti di vita così meschini, tanto cruenti e per nulla riconducibile all’intelligenza dell’essere umano.

E’ di oggi la sentenza dell’infermiera di Chester accusata dell’omicidio di sette neonati e di altri sei a lei riconducibili ma non provati, pena esemplare: ergastolo senza possibilità di alcuno sconto per tutta la durata della pena. Ora se è vero che la pena deve servire a rieducare, è anche vero che la morte psicologica (perché di questo si parla) per la povera diciannovenne credo che nessuno ormai sarà in grado di revocarla, ma che l’unica cosa di positivo, a volerla cercare nella squallidissima storia di Palermo, sia la forza e il coraggio d’animo che la ragazza ha dimostrato, denunciando l’accadutole. Qualunque parola di ammirazione e di solidarietà non potranno restituirle la gioia di vivere che ha avuto fino al 6 luglio scorso: tutto l’orizzonte della sua vita è svanito in quelle macabre ore di violenza efferata, e lei non potrà usufruire mai più di uno sconto sulla pena che gli aguzzini le hanno inflitto. La rieducazione di quelli non servirà a lei, non sarà utile alla società che comunque, data la giovane età dei rei, si augura che un giorno potranno comprendere il male inflitto e la gravità delle loro azioni e trasformare la propria vita in atti di penitenza perenne.

Resta ora, insieme all’amarezza di ciascuno, l’impegno di ogni giurista che abbia competenza e soprattutto coscienza, individuare una forma legislativa che possa davvero tutelare le donne dalla barbarie di certi maschi, e incidere sui maschi maltrattanti o violenti, sulla loro formazione e sulla loro indole perché portino a maturazione, evolvendosi quindi, quei valori e quei princìpi di rispetto per la donna che, in quanto persona, è portatrice di diritti oltre che di doveri, egualmente e sempre più universalmente condivisi, tra uomo e donna, che nulla hanno a che fare con il possesso o con la concezione della donna come oggetto di piacere sessuale.

Un’idea potrebbe essere, nel caso di uomini maltrattanti in giovane età, come nel caso di quelli di Palermo, o di minori, sanzionare anche i genitori a cui, secondo la legge, spetta l’obbligo, tra gli altri, di educare i figli; seppur quelli erano tutti, tranne uno, oramai maggiorenni e quindi responsabili per la legge delle proprie azioni, i genitori non si sarebbero resi conto delle inclinazioni (naturali?) dei propri figli nel dar loro gli insegnamenti educativi a cui erano tenuti. Non sono certo io una giurista in grado di determinare quale filo di pensiero giuridico potrebbe essere seguito per giungere ad un risultato normativo in tal senso, ma certamente viviamo un’epoca di deresponsabilizzazione genitoriale che produce fenomeni di degrado morale davanti al quale non si può rimanere indifferenti; non bastano più le parole delle grandi icone mediatiche a sensibilizzare, servono decisioni e atti concreti che riportino tutti alle proprie responsabilità; non basta l’associazionismo o la marcia con striscioni e candele a commemorare, serve decisionismo e determinazione per fermare un fenomeno di deresponsabilizzazione in crescita esponenziale, in una società trasformatasi da villaggio, in cui ciascuno poteva contare sull’aiuto di una rete di agenzie educative (la parrocchia, la scuola, il quartiere, ecc.), a spazio sconfinato dell’individualismo, della famiglia monoparentale e dell’indifferenza.

La paura sociale ha impedito ai passanti di cogliere il grido d’aiuto della ragazza, la stessa paura sociale che impedisce a tante altre vittime di denunciare; quella paura che ormai detta le regole, quella paura che genera l’indifferenza che è sinonimo di aridità perchè vuol dire senza differenza, in alcuni casi anche tra vittima e carnefice. E questa “non differenza” permea di sé, spesso, la stessa legislazione che regola la convivenza civile.

Lo stupro è reato contro la persona ormai da tempo, eppure ancora fatica ad essere riconosciuto tale dal comune sentire e spesso, anche nelle stesse aule della giustizia, dove la legge non è sempre uguale per tutti, ancor meno per le vittime degli uomini violenti o maltrattanti. 

 *Docente

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