
"Negli ultimi giorni e da più parti della sinistra calabrese si stanno levando alti su due questioni che a me sembrano invece una tempesta in un bicchier d’acqua.
I guai, meglio sarebbe dire il dramma, della sanità calabrese sono dovuti e molti motivi antichi e recenti che ho avuto modo più volte di sviscerare nel dettaglio. Ci torno in questa occasione meravigliato dal tenore di chi ne ha scritto recentemente.
Specialmente in passato un problema grave è stato certamente il sottofinanziamento del sistema che tuttavia si è determinato nel tempo in modalità assai diverse. Negli ultimi anni, nei quali il FSN è stato abbastanza uniformemente suddiviso, non mi pare che la forse ancora una volta iniqua ripartizione delle briciole legate alla densità di popolazione sia in alcun modo determinante.
Ormai da molti anni infatti una sistematica rapina di risorse avviene non all’atto della ripartizione del FSN ma nell’attrazione che, anche con incursioni sanitarie a scopo di reclutamento di malati, viene esercitata da alcune regioni del Centro nord che realizzano non solo l’arrivo di risorse “fresche ma il loro utilizzo per realizzare enormi economie di scala che consentono a quelle regioni non solo il pareggio di bilancio ma anche investimenti che aumentano vieppiù l’offerta sanitaria e la conseguente ulteriore attrazione.
A Sud nasce naturalmente un circolo vizioso che ha smisuratamente aumentato l’emigrazione, almeno per chi può permetterselo, e lasciato sempre più la Calabria nelle condizioni disperate documentate dal recente rapporto Agenas, sia per quanto riguarda l’alta complessità (presente in Calabria in misura del tutto insufficiente) e anche per quella più bassa determinata dalla sempre maggiore perdita di credibilità del sistema regionale.
Il motivo principale è certamente dovuto al fatto che è quasi sempre mancata, nella sanità calabrese, una visione di sistema che doveva prevedere un grande sviluppo della sanità territoriale che sostenesse una vera medicina di prossimità e su una rete ospedaliera piccola, snella ma fortemente qualificata sul piano professionale, tecnologico e alberghiero, Si sarebbe potuto fare anche con le risorse (magari iniquamente scarse) che abbiamo avuto nel corso del tempo. La chiusura dei 18 ospedali sulla quale ancora si spargono fiumi di lacrime sarebbe stata una coraggiosa operazione se contemporaneamente si fosse proceduto alla loro riconversione in qualificate strutture territoriali piuttosto che abbandonarli al saccheggio.
Veniamo a oggi. Il diavolo fa le pentole ma spesso dimentica i coperchi. Una delle regioni fruitrici della rapina ha qualche difficoltà per motivi che ignoriamo ma che penso derivino da una certa carenza di personale. De Pascale in Emilia-Romagna non può ritardare le prestazioni sui suoi assistiti istituzionali con pericolo di una perdita del prestigio su un piano sul quale è fortemente basato il proprio consenso elettorale. A questo punto propone per i calabresi il mantenimento delle prestazioni più complesse (e remunerative) cercando dei meccanismi per limitare la bassa complessità. Operazione che mi pare del tutto marginale e che contiene la sola insidia, come l’ha brillantemente definita Marcello Furriolo, di una sorta di messaggio subliminale alle strutture calabresi. Lasciate perdere l’alta complessità ma cercate di riacquistare un po’ di credibilità sulla bassa. Non sarebbe certo un bene ma non è questo il problema della sanità calabrese. Il solo Occhiuto, annientato nelle sue recenti trionfalistiche dichiarazioni sulla sanità calabrese cerca di spacciarla come un tassello delle epocali riforme che dice di avere in mente e che, a me pere, si limitano solo ad aspetti amministrativi e istituzionali e per nulla funzionali. Lamentarsi o temere di essere discriminati con questo provvedimento su un terreno sul quale dobbiamo diventare autonomi mi pare finanche patetico. È come lamentarsi di essere discriminati come “straccioni” piuttosto che puntare ad essere protagonisti, magari anche a seguito di misure come queste che non credo verranno da altre parti perché il privato convenzionato del Lazio o della Lombardia non si pongono gli stessi problemi dell’Emilia-Romagna.
Concludo. Smettiamo di stracciarci le vesti per questioni marginali e battiamoci per un serio progetto di sistema sulle Case di Comunità (quante, dove e con cosa dentro), sugli Ospedali di Comunità (quanti, dove e con che cosa dentro). Senza di questo non potremo pensare a una rete ospedaliera e universitaria per fare bene tutto quanto è necessario fino all’alta complessità (nei limiti di una regione di un milione e mezzo di residenti reali) realizzabile per una medicina del XXI secolo. Tutto il resto, direbbe Totò, sono “pinzillacchere”".
E' quanto scrive, in una nota, Lino Puzzonia, Già DS dell’AO Pugliese Ciaccio e già DG dell’AO Annunziata.
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