MusicAma Calabria, a Catanzaro e Lamezia arriva David Larible: l’intervista al più grande clown del mondo

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Definito da molti il più grande clown del mondo, amato da Julia Roberts e Woody Allen e partner artistico di Jerry Lewis.

  03 dicembre 2025 12:16

di CARLO MIGNOLLI

Destino di Clown”, questo il titolo dello spettacolo che vedrà protagonista David Larible e si svolgerà il 4 dicembre al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme e il 5 dicembre al Teatro Comunale di Catanzaro, alle ore 21:00, nell’ambito della 48ª edizione di MusicAma Calabria. Dopo il successo internazionale de Il Clown dei Clown, il celebre David Larible, definito da molti il più grande clown del mondo, torna in scena con un nuovo show prodotto da Mosaico Errante.

Accompagnato dalle musiche del pianista Mattia Gregorio e affiancato dall’attore comico Andrea Ginestra, tra numeri di magia, karaoke, cucina in tilt, funambolismi e persino lancio di coltelli, il clown che ha affiancato Jerry Lewis e amato da Julia Roberts e Woody Allen riesce a sorprendere, divertire e commuovere il pubblico, ricordando a tutti che dentro ciascuno di noi c’è un bambino capace di ridere, sognare e vivere la propria unicità.

Un nuovo capolavoro di Larible, che dopo aver incantato spettatori in quattro continenti con oltre 250 repliche del suo primo spettacolo, dimostra ancora una volta come il clown possa trasformare il teatro in un luogo di emozioni sincere e di gioia condivisa.

L’INTERVISTA

Destino di Clown arriva dopo il grande successo de Il Clown dei Clown: da quale esigenza artistica è nato questo nuovo spettacolo?
«”Destino di Clown” è il seguito naturale de “Il Clown dei Clown”. Avevo l’esigenza di creare un nuovo spettacolo perché i teatri me lo chiedevano dopo il successo de “Il Clown dei Clown”: mi domandavano quando sarei potuto tornare con qualcosa di nuovo, e così mi sono messo al lavoro. L’ispirazione l’ho avuta partecipando, come giudice, a un casting. Mi è venuto in mente: sarebbe bello creare uno spettacolo proprio su un casting, perché questo personaggio strampalato, David il clown, arriva appunto a questo provino. Il casting perché ha bisogno di lavorare. È un po’ qualcosa che rappresenta i nostri giorni: lui ha bisogno di lavorare, si presenta ovunque ci sia lavoro e, ogni volta che il direttore del casting chiede - che so - un cantante, un ballerino, un mago, lui si presenta sempre. Non perché lo sappia fare, ma perché ha bisogno di lavorare e, nella sua ingenuità, pensa che tutto il pubblico seduto in teatro sia lì per partecipare al casting; e quindi lo coinvolge. Ecco come nasce “Destino di Clown”».

Il suo clown, ispirato al Monello di Chaplin, continua a emozionare pubblici di tutto il mondo: perché secondo lei questa figura è ancora così universale?

«Il Monello di Chaplin, da cui mi sono ispirato, sì, continua a piacere, continua a far emozionare. Per esempio, c’è il fatto che è un miscuglio, un miscuglio tra l’ingenuità e la furbizia. Monello non è uno stato sociale, né un personaggio che abbia un’età definita. Si può essere monelli a 80 anni: io avevo uno zio che è morto a 85 e, fino all’ultimo dei suoi giorni, faceva degli scherzi in ospedale all’infermiere. Era un monello, e questo monello che tutti abbiamo dentro, secondo me, riesce comunque a empatizzare con il pubblico. E quindi, una volta che tu riesci a creare questa empatia, si crea qualcosa di magico tra il clown e il pubblico. E quando questo succede è veramente qualcosa di straordinario».

In che modo questo spettacolo dialoga con la tradizione del clown classico e, allo stesso tempo, introduce elementi di novità?

«Combina le due cose: il clown classico, che tra l’altro è da dove veniamo. Il clown classico è figlio della commedia dell’arte e noi siamo figli del clown classico, anche se a volte facciamo delle cose che non sono proprio classiche. Per esempio, l’interazione con il pubblico, l’improvvisazione, non sono da clown classico; però il personaggio, i movimenti, il costume rimangono quelli di un clown classico. E quindi questa fusione tra questi due modi di esibirsi, di presentarsi, di cercare di emozionare crea, secondo me, questo personaggio che è moderno ma anche antico nello stesso momento - che è sempre una contraddizione - però ha elementi che richiamano la memoria, richiamano agli spettatori più anziani il clown com’era, come lo vedevano, come erano abituati a viverlo, insieme a elementi che sono moderni. E quindi sì, si dedicano di più al pubblico un po’ più giovane, un po’ più attuale. Io cerco di fare proprio questo: fondere il clown classico con il clown moderno, il clown tradizionale con il clown d’avanguardia».

Dopo tanti anni di carriera, cosa rappresenta oggi per lei essere definito “il più grande clown del mondo”?

«Essere considerato il più grande clown del mondo non mi tocca in alcun modo, per il semplice fatto che non penso di essere il clown migliore o più grande del mondo, perché il clown più grande del mondo non esiste. Non si tratta di una disciplina sportiva: se io faccio il pugile e vinco tutti i miei avversari, divento il più grande pugile del mondo. Il clown è una forma d’arte e quindi, come tutte le forme d’arte, è soggetta ai gusti e alle opinioni, che noi dobbiamo sempre comunque rispettare. Quindi non mi pongo mai questo problema di essere considerato il più grande clown del mondo, per il semplice fatto che so di non esserlo».

Come ha lavorato con Andrea Ginestra nella costruzione del personaggio del “responsabile del casting”? E che tipo di intesa si è creata con il pianista Mattia Gregorio e quanto la musica influisce sul ritmo comico ed emozionale dello spettacolo?

«Con Andrea ci lavoro ormai da tantissimi anni, quindi quando due artisti lavorano per così tanto tempo assieme, si esibiscono su palcoscenici che vanno dal Perù a Mosca, da San Pietroburgo a Milano, a Napoli, a Città del Messico; si vivono quindi tante emozioni, tanti momenti insieme e naturalmente si crea una chimica particolare. Adesso Andrea è diventato una grandissima spalla che mi conosce e mi segue, perché il clown è un po’ un anarchista, mentre la spalla deve essere più colui che segue comunque un copione, anche se il copione, inteso nella maniera classica della parola, non esiste in uno spettacolo di clown. Mattia è una scoperta meravigliosa che abbiamo fatto circa una decina d’anni fa, quando è venuto a sostituire il pianista originale, un maestro tedesco, Stefan Kunz. Anche lui lo abbiamo cresciuto piano piano: non aveva mai partecipato così a degli spettacoli dove doveva non solo accompagnare, ma anche essere parte attiva, perché ci sono dei momenti in cui recita pure. È divertentissimo perché durante le prove e gli spettacoli nascono delle situazioni inaspettate che hanno però un risultato meraviglioso, e quindi cerchiamo di ripeterle. É bellissimo lavorare con queste due persone. E lo devo dire anche del nostro produttore, Alessandro Serena, che ci supporta in tutto e per tutto, che c’è sempre per noi e che è un aiuto incredibile, non solo dal punto di vista logistico o morale, ma anche dal punto di vista creativo».

Tra i numeri - mago, funambolo, cantante di karaoke, cuoco alle prese con montagne di piatti - ce n’è uno che sente più vicino o più “suo”?

«Beh, chiedere a un clown qual è il numero che sente più suo o che preferisce è come chiedere a un padre qual è il suo figlio preferito. Ognuno di questi numeri ha dentro di sé una parte di me. Per realizzarli ci sono volute ore e ore di prove, di studio, di ricerca, per cercare di tirar fuori questi numeri che, appena si presentano, naturalmente non sono perfetti, ma ci devi lavorare e devi farlo sera per sera, per poi cambiarli e aggiustarli. Quindi ogni numero è speciale per me. Naturalmente ci sono dei numeri che arrivano al pubblico più di altri. Ma questo non vuol dire che siano i miei preferiti».

Quanto è importante, per lei e per il pubblico, “tornare bambini”?

«Secondo me non si torna bambini, bambini si è sempre, solo che a volte ce ne dimentichiamo, o magari abbiamo un pudore, una specie di vergogna per questo bambino che c’è dentro di noi. Faccio un esempio: magari si passa vicino a dei giardinetti, dove ci sono delle altalene; il nostro primo istinto sarebbe di andare là e dondolarci in altalena, insieme ai bambini. Questo è il bambino che c’è in noi. Poi l’adulto che c’è in noi ci impedisce di farlo: “Ma no, cosa penseranno gli altri?”. Però quel bambino c’è, e il clown non ha paura di quel bambino, non ne ha neanche vergogna, anzi, ne è fiero e cerca di tirarlo fuori ogni volta che può. E così facendo aiuta gli spettatori a essere bambini pure loro, che tra l’altro è la cosa più bella. Secondo me ogni bambino è un potenziale comico, solo che crescendo gli si impedisce di rimanere comico - comico intendo una persona che fa delle cose buffe, magari a suo malgrado, magari senza volerlo. Chaplin diceva che un grande comico deve studiare i bambini e gli ubriachi, perché sono i due personaggi che non hanno controllo e non si fanno condizionare dal mondo esteriore. Ecco, quindi sì, mi piace tantissimo essere bambino e far tornare bambini tutti quelli che, tra il pubblico, vorranno aprire il loro cuore e cercare di ritrovare il bambino che è in loro».


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