“In carcere mi chiamano assassino di bambini, ma io quella notte ho salvato 5 persone. Io ero venuto in Italia per un futuro e mi trovo in galera solo perché parlo la lingua turca ed ho fatto da interprete. Per favore datemi giustizia”.
Khalid Arslan, pakistano di 26 anni, uno dei tre imputati nel processo contro i presunti scafisti del caicco naufragato a Cutro il 26 febbraio 2023, parla in lacrime davanti al Tribunale di Crotone dopo aver ascoltato la richiesta di condanna a 14 anni e 6 mesi avanzata dal pm Pasquale Festa.
“Io non ho guidato quella barca, io non sono scappato come hanno fatto i veri scafisti: se ero scafista non restavo. Io mi sono buttato in acqua a salvare le persone” ha spiegato Arslan consegnando una lettera scritta a mano al presidente del Tribunale nella quale, in italiano, ripercorre la sua vicenda.
“Alcuni migranti litigavano tra loro perché volevano salire sopra la barca. Gli scafisti hanno chiesto chi parlava la lingua turca. Gli altri migranti hanno indicato me e chiesto di aiutarli. Altri migranti hanno litigato con me se non facevo l’interprete. Tutti gli afgani chiamavano me. Se non facevo l’interprete c’era il rischio di cominciare una rissa e di morire tutti in mare. Ma io non sapevo che fare l'interprete potesse costarmi così, che può costarmi 14 anni di carcere. Fatemi capire: aiutare le persone deboli è un reato di favoreggiamento? Ho sbagliato a fare questo: se ora vedrò qualcuno che muore davanti a me potete stare certi che faccio finta di essere cieco, sordo e muto”. Il 26enne pakistano ha ribadito di aver pagato il viaggio 7000 euro.
“Ci sono video che dimostrano che ho viaggiato come passeggero e non ho guidato. Quando ero vicino al timone questo era bloccato e tutti si facevano i video lì. Se ero uno scafista non facevo i video, non li postavo su tik tok. io in quel momento ero orgoglioso, felice che eravamo arrivati in Italia”.
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