Giuseppe Arabia, 59 anni, già condannato con sentenza passata in giudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso, “non è mai uscito dalla 'ndrangheta e, praticamente da una vita, agisce entro la temibile organizzazione mafiosa con un ruolo apicale sempre più importante, anche tenuto conto degli arresti, delle condanne e delle carcerazioni ai vertici della cosca”. E' quanto scrive il gip del tribunale di Bologna, Alberto Ziroldi, nell'ordinanza di misure cautelari relativa all'operazione 'Ten', contro la 'ndrangheta emiliana che coinvolge 20 indagati, di cui cinque finiti in carcere per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra loro il 'boss' Giuseppe Arabia.
Nell'ordinanza, il gip sottolinea come l'uomo, insieme a un altro degli arrestati, Salvatore Messina, “in concorso morale e materiale tra loro e con un terzo soggetto di nome Antonio” ha “minacciato gravemente Giuseppe Ruggieri e la persona che lo accompagnava, puntando loro contro tre armi”. Ruggeri, spiega il gip, era, “'reo' di aver reso nel dibattimento 'Grande Drago', in cui Arabia era imputato, una testimonianza all'udienza del 9 ottobre 2007 come persona offesa di una tentata estorsione, perpetrata” dal 'boss' “poi condannato in via definitiva”.
Intercettato, Giuseppe Arabia racconta l'episodio al suo interlocutore, dicendogli: “Li ho fatti pisciare addosso quando li ho bloccati, con tre armi... con tre armi puntate addosso... addosso a loro”. In più – prosegue il gip - “ha costretto Ruggeri a scusarsi per quanto fatto al processo, scuse che avanzava inginocchiandosi e baciando i piedi a Giuseppe Arabia". “Mi chiedeva perdono e mi baciava i piedi", dirà, infatti, Arabia intercettato.
Il gip Ziroldi indica nell'ordinanza, inoltre, l'aggravante “dell'essere la minaccia stata commessa con armi” e “di avere agito per agevolare l'attività dell'associazione di stampo mafioso denominata 'ndrangheta e in particolare del sodalizio 'ndranghetistico emiliano”.
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