di STEFANIA PAPALEO
Niente green pass, niente lavoro in ufficio. E la sua assenza sarebbe risultata ingiustificata, con conseguente mancata retribuzione. Così come dettava la norma in materia anti-covid. Una condizione accettata da un dipendente dell'Amministrazione comunale di Catanzaro in servizio dall'1 marzo 2018 e che, a partire da dicembre 2021, aveva comunicato chiaramente di non avere alcuna intenzione di esibire il certificato verde previsto in quel momento storico per poter accedere al proprio posto di lavoro. Salvo lo stesso vedersi recapitare, nel successivo maggio del 2022, una lettera di licenziamento senza preavviso, motivata da una serie di violazioni che gli sarebbero state contestate dall'UPD costituito ad hoc dal suo dirigente e per le quali il Contratto nazionale del lavoro prevede la misura massima della sospensione dal servizio e non certo la misura estrema del licenziamento.
Immediato il ricorso proposto al Tribunale dal dipendente licenziato che, dopo un primo diniego, non ha desistito e, affidandosi agli avvocati Danilo Colabraro e Giuseppe Pitaro, ha continuato la sua battaglia legale a colpi di carta bollata, riuscendo finalmente a ottenere la sua vittoria in secondo grado. I giudici della Corte d'Appello di Catanzaro, presieduta da Gabriella Portale (a latere: Barbara Fatale e Antonio Cestone), hanno riformato la prima sentenza, condannando il Comune non solo a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, ma anche a pagargli un'indennità risarcitoria, commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione, facendo fronte anche alle spese del giudizio sia d primo che di secondo grado.
Inutile, dunque, il tentativo dell'Amministrazione comunale di Catanzaro di difendersi per mezzo dell'avvocato Anna Maria Paladino. Il ricorrente tornerà al lavoro in quegli uffici nei quali, peraltro, non avrebbe potuto accedere nel periodo "incriminato" essendo gli stessi sprovvisti di strumenti di verifica del green pass, per cui avrebbe violato la norma se davvero fosse entrato a cercare la collega addetta al controllo così come gli era stato comunicato dalla dirigenza.
Questa una delle tante ragioni contenute nel ricorso proposto dagli avvocati Colabraro e Pitaro e accolto dai giudici della Corte d'Appello.
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