Al webinar ospiti Rosy Bindi, ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia, e il giornalista Arcangelo Badolati
18 luglio 2020 17:42di PAOLO CRISTOFARO
Ricorrono domani i 28 anni da quel tragico 19 luglio 1992, da quel boato e da quel fumo denso e nero. Un fumo nero che ha avvolto non soltanto Via d'Amelio, uccidendo il giudice Borsellino e i ragazzi della sua scorta, ma l'intera Italia, tra ombre, depistaggi, ricatti della mafia allo Stato. Domani, promosso dall'Università della Calabria, si terrà un webinar, dal titolo "Le Massomafie", voluto da Giancarlo Costabile, ricercatore e attivista della R-Esistenza (come la chiama lui), nonché organizzatore del Laboratorio di Pedagogia dell'antimafia.
Ospiti il giornalista Arcangelo Badolati e la già presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi. Una conferenza non per omologarsi alle commemorazioni fini a sé stesse della "finta antimafia", ma per raccontare il percorso quotidiano con gli studenti; un percorso per studiare il fenomeno, soprattutto sociale e politico delle mafie, per capire quel 19 luglio e quello che ha determinato per l'Italia. Abbiamo contattato il dott. Costabile in vista del dibattito di domani.
Non sarà una commemorazione come le altre quella di domani online?
"Non un evento meramente celebrativo. Il nostro è un percorso radicale, senza soldi da nessuno, un percorso vero e lungo. Ci siamo confrontati con tutti, in quasi 10 anni di lavoro. Dai centri sociali a contesti di potere, a chi aveva le idee più disparate. Abbiamo discusso con tutti. La nostra è un'idea molto precisa dell’educazione: l'educazione dei ragazzi con l'esempio".
In che senso? Come impostate lo studio e le riflessioni?
"La nostra è una riflessione vera, per riportare il problema mafioso nella sua cornice reale di analisi, di studio e di intervento nella realtà. Il fenomeno mafioso è stato volutamente derubricato a mera questione criminale in questo paese, con costruzioni, anche pittoresche, dei fenomeni mafiosi, che distolgono l'attenzione dalla reale portata e origine del problema. Non è un fenomeno di violenza e sicurezza urbana, legato ai singoli omicidi, alle bombe ai negozi, alle minacce. Anche nell’esempio del napoletano diventa addirittura fiction, con Gomorra. Noi non condividiamo quel racconto della mafia e quell'antimafia finta. Abbiamo anche promosso delle giornate di lavoro dentro le vele di Scampia, per capire cosa sia veramente, in quel caso, la camorra. Le mafie sono qualcosa di diverso del fenomeno meramente criminale. Il problema mafioso si può studiare e risolvere senza guardare, con onestà intellettuale, al sistema di formazione delle classi dirigenti di questo paese".
Cosa intende? Perché alla classe dirigente?
"La mafia è un fenomeno che da 200 anni tiene sotto scacco lo Stato, non può essere una semplice azione militare, non sarebbe stata longeva. Il ragionamento va fatto sulla classe dirigente, perché in questi 200 anni la longevità della mafia è stata garantita anche e soprattutto da continui rapporti con le istituzioni. Lo hanno dimostrato gli omicidi di Pio La Torre, Mattarella, Chinnici, Borsellino. Non è criminalità spicciola e non va studiata come tale. Persino la narrazione risorgimentale è costruita ad arte, i meridionali si ribellarono a quella costruzione. Il brigantaggio fu una forma confusa e caotica di resistenza. La longevità delle mafie sarebbe stata difficile se l'avessimo letta solo sotto la sfera meramente riferita alla criminalità localizzata".
Quindi la mafia ha vissuto grazie alla politica e ai rapporti politici?
"Senza le coperture politiche importanti i Corleonesi non avrebbero potuto lanciare un attacco allo Stato. I depistaggi, provati della vicenda Borsellino, dimostrano che le mafie hanno svolto e svolgono una funzione politica. Salvo Lima, Ciancimino, erano il segnale di un legame tra mafie e potere politico. Il nostro modello educativo per i ragazzi vuole attaccare un modello di Stato che si sta costruendo sulle mafie. Ci sono state e ci sono relazioni con un potere oscuro, che lo Stato non può confessare, ma che agisce e gestisce dinamiche istituzionali. In alcuni contesti, le avevamo anche in Sicilia, troviamo classi dirigenti espressamente mafiose – o abituate ad agire con metodo mafioso – che governavano e governano la cosa pubblica. Tutta questa roba deve diventare oggetto di studio. Nessuno spettacolo dell’antimafia, nessuna Gomorra. La mafia va studiata ed è un fenomeno sociale e politico strettamente connesso all’identità delle classi dirigenti dal 1861 ai giorni nostri".
Borsellino è stato una vittima di queste connessioni politico-mafiose?
"Borsellino è stato senz'altro la vittima della cosiddetta Trattativa Stato-mafia. Tra le letture che stanno prendendo quota, specialmente avvalendosi di una lettura storiografica, spesso diversa da quella tecnicamente giuridica - quasi mai le due cose tendono a coincidere - appare attendibile la ricostruzione di un intreccio di legami particolare. Se si pensano ai solleciti che lo stesso Borsellino e la scorta facevano per le questioni di sicurezza, per le auto in Via d’Amelio, che era una strada chiusa, ma piena di macchine. Era evidente che l’attenzione del sistema mafioso si stesse spostando su Borsellino, dopo Capaci. Se la scorta faceva solleciti alla Prefettura, se il giudice sollecitava una maggiore sicurezza, particolare, tutto questo non può essere figlio del caso. Qualcosa voleva dire, come anche tutto ciò che è avvenuto dopo e che ha riguardato i depistaggi su Via D'Amelio. Al primo appello è stata emessa una condanna di una serie di persone che la Procura di Palermo ha individuato come effettivi partecipanti di questa trattativa".
In chiave di analisi legata anche alle dinamiche calabresi e alla 'Ndrangheta oggi, come possiamo leggere tutto ciò?
"Il clima culturale calabrese che si avverte, purtroppo, non è dissimile da quello che esisteva a Palermo negli anni '80. La Ndrangheta si è strutturata e ha guadagnato la leadership all’interno del sistema mafioso anche per i rapporti politici. La 'Ndrangheta è una mafia di Stato. Recentemente l’azione di Nicola Gratteri, per esempio, non era volta a colpire il livello militare della cosca Mancuso. L’attacco di Gratteri è stato a quell’anello di congiunzione tra élite mafiosa ed élite della classe dirigente politica. La mafia si inserisce direttamente nel sistema istituzionale e nel governo dei territori. Con Rinascita-Scott ha cercato di bloccare il meccanismo che consente alla ‘Ndrangheta di riprodursi e acquisire forza. Sono questi i meccanismi che studiamo con i nostri ragazzi. La lotta alla mafia deve essere, oggi più che mai, alimentata dall'educazione e dalla cultura".
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