di TERRI BOEMI
"È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati”. Al territorio in cui viviamo, che sia natio o adottivo, siamo legati da una sorta di contratto di locazione ad uso abitativo. Come per ogni contratto che si rispetti i contraenti sono obbligati l’uno verso l’altro,sinallagmaticamente. Il comune, di seguito nominato locatario e il cittadino, di seguito nominato conduttore, hanno l’uno verso l’altro obblighi precisi. Il primo deve consegnare in buono stato il bene oggetto della locazione per l’utilizzo del quale il secondo paga periodicamente una quota, impegnandosi a mantenerne intatto lo stato di conservazione del bene stesso e, ove previsto dal contratto, apportando migliorie. Tale rapporto dovrebbe da una parte tradursi con l’esercizio della condivisione, dello scambio, del rispetto e della tutela del bene; dall’altra in una erogazione dei servizi fondamentali alla fruizione quotidiana del bene in oggetto.
Un'amministrazione attenta è a questo che dovrebbe mirare: ripristinare umane condizioni di vita, la ove lo sviluppo caotico le abbia rese neglette, coinvolgere la collettività nelle scelte, renderla responsabile e partecipe. Una comunità non ha bisogno unicamente di amministratori, sia pure tecnici di valore, se ciò che raccontano è, nei fatti, la rappresentazione di un mondo che non c'è. E, sopratutto, se di tempo per dare sostanza alle parole, ne hanno avuto fin troppo.Una città, Catanzaro nel caso specifico, necessità di nuove aspettative ad oggi compresse dalla staticità di una logica di potere spartitoria che tutto ha omologato e represso. C’è l’esigenza di una scossa simile alla scarica del defibrillatore, che la risvegli dal torpore e dall’ ignavia che sembrano essere le sue più peculiari caratteristiche.
Riallocarealcune facoltà nel centro storico senza ridisegnare il contesto urbano che dovrà ospitarle, cui prodest?. Le città che storicamente sono sedi universitarie, hanno adeguato l’intero contesto urbano alle esigenze di una popolazione studentesca che non vive di solo studio. Queste realtà hanno creato reti individuando nell’Università un punto cruciale di tale sistema. Sono nate collaborazioni con il mondo della scuola per l’orientamento scolastico, con quello dell’impresa che ha trasferito esperienza per una ipotesi di futuro, con le stesse amministrazioni comunali in relazione alle proposte culturali che si svolgono in quei territori. Le città universitarie, oltre che a misura d’uomo, sono innanzitutto, o dovrebbero essere, facili da raggiungere e capaci di coniugare l’aspetto relazionale, tipico dei centri relativamente piccoli, con quello delle città più grandi non solo per la godibilita’dei servizi essenziali, ma anche per la proposta varia e variegata tanto delle iniziative culturali, quanto di quelle afferenti alla vita notturna. Le città universitarie, è utile ricordarlo, non sono “paesi per vecchi”. Nel nostro capoluogo di regione accade che i negozi abbassino la saracinesca o che un bar storico punto di incontro, scambio, condivisione, sia costretto a chiudere battenti a causa di un canone di affitto decisamente spropositato.
L’idea dell’amministrazione comunale, di reinserire facoltà universitarie all’interno di prestigiosi palazzi del centro storico, avrebbe un suo perché se fosse parte di un progetto più ampio. Così, invece, appare decontestualizzata. Una pezza per tappare l’ennesimo buco di una coperta lacera.
La felicità è solo un attimo. Noi dovremmo aspirare alla normalità. Vivere in un luogo normale che fornisca servizi normali, dando seguito ad esigenze normali. Ecco, forse prima di avventurarsi in proposte tampone, mi piacerebbe che il sindaco e la giunta comunale illustrassero la loro idea di “ normalità “.
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