Rita Tulelli: “Le nuove frontiere del crimine silenzioso”

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  15 novembre 2025 09:37

di RITA TULELLI

Negli ultimi anni, il fenomeno dell’automedicazione con psicofarmaci e sostanze stimolanti ha assunto proporzioni tali da ridisegnare, in modo silenzioso ma incisivo, il panorama della criminalità contemporanea. Sempre più individui, spesso giovani e professionisti sotto pressione, ricorrono a ansiolitici, ipnotici, antidepressivi o smart drugssenza un reale percorso medico. Una scelta che sembra innocua ma che, analizzata con lo sguardo della criminologia, svela una serie di derive oscure: dipendenze non riconosciute, reti di traffico online sofisticate e abusi che sfuggono ai radar istituzionali.Il primo elemento di allarme riguarda l’esplosione del mercato digitale di sostanze psicotrope. Le piattaforme del dark web, così come alcuni canali criptati dei social, alimentano un’economia parallela in cui psicofarmaci, stimolanti e sostanze sintetiche vengono venduti come fossero beni di consumo. L’utente qualunque può accedervi con facilità disarmante: una transazione in criptovalute, un indirizzo di consegna anonimo, e in poche ore farmaci soggetti a prescrizione medica diventano disponibili senza alcun controllo.
Ciò non solo aggira i sistemi tradizionali di regolamentazione, ma rende sempre più difficile tracciare flussi, identificare fornitori e prevenire abusi.

Il secondo fronte critico è rappresentato dalle dipendenze “pulite”, quelle che non lasciano segni apparenti. A differenza dell'abuso di sostanze classiche, l’utilizzo improprio di psicofarmaci o stimolanti spesso resta nascosto: nessun comportamento eclatante, nessun segno fisico immediatamente riconoscibile, nessuna stigmatizzazione sociale. Molte persone iniziano assumendo una pastiglia “solo per dormire meglio”, un ansiolitico “per reggere il ritmo lavorativo”, uno stimolante “per aumentare la concentrazione”. Ma questa normalizzazione dell’assunzione autonoma apre a rischi profondi: tolleranza progressiva, consumo combinato con alcol o altre sostanze, crisi da sospensione improvvisa e veri e propri disturbi da dipendenza.

Tutto questo avviene spesso in silenzio, senza che familiari o colleghi se ne accorgano, e fuori da ogni monitoraggio medico. La natura “accettabile” degli psicofarmaci contribuisce a celare un problema ancora più inquietante: il loro utilizzo come strumenti di controllo, manipolazione o coercizione. Si registrano casi in cui partner, caregiver o figure di potere somministrano farmaci alteranti senza consenso, o inducono la vittima a farne uso fino a dipendere da chi gestisce la fonte della sostanza. Questi abusi, difficili da dimostrare e ancor più da denunciare, rappresentano una forma di violenza psicologica e fisica di cui la società parla troppo poco. Il confine tra cura e dominio può diventare sottile, soprattutto quando la persona coinvolta è già fragile. La crescita del consumo autonomo di psicofarmaci e stimolanti non è soltanto un fenomeno sanitario: è un nuovo territorio criminologico che richiede strumenti di analisi aggiornati e interventi multidisciplinari.

Perché il vero pericolo non è solo la sostanza, ma la sua invisibilità: un crimine che non grida, un abuso che non lascia lividi, un mercato che non ha strade ma solo link
. Rendere visibile l’invisibile è oggi una delle sfide più urgenti per chi, come noi criminologi, osserva le trasformazioni della devianza contemporanea.


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