di TERESA MENGANI
Il recente scandalo che ha coinvolto l’Università Magna Graecia di Catanzaro e l’ASP della stessa città non è che l’ultimo di una serie di episodi che confermano una realtà tristemente nota: la Calabria continua a essere soffocata dalla corruzione e dalla cattiva gestione politica. La regione, che dovrebbe essere un simbolo di cultura, storia e bellezza naturale, troppo spesso si distingue per primati negativi legati alla cattiva amministrazione, alla criminalità organizzata e alla mancanza di prospettive per i suoi cittadini.
Da un punto di vista sociologico, tali situazioni rappresentano un ciclo vizioso. La corruzione non è solo il frutto di singole azioni illecite, ma anche il sintomo di un sistema che non riesce a promuovere valori come trasparenza, meritocrazia e responsabilità civica. La percezione diffusa che le regole siano fatte per essere aggirate e che il clientelismo sia l’unico modo per ottenere risultati ha generato una cultura della sfiducia. Questo clima alimenta una profonda rassegnazione, specialmente tra i giovani, che sempre più spesso abbandonano la regione in cerca di opportunità altrove.
Ma quanto è colpevole la politica? In Calabria, troppo spesso, la politica ha fallito nel suo ruolo di guida etica e sociale. L’assenza di investimenti seri in istruzione, infrastrutture e innovazione, unita alla mancanza di un progetto strategico per il futuro, ha lasciato spazio a interessi privati e al radicarsi di sistemi clientelari. La criminalità organizzata, inoltre, si è inserita nelle falle di uno Stato debole, diventando spesso un interlocutore alternativo per chi non trova risposte nelle istituzioni.
A livello personale, la Calabria è una terra che suscita emozioni contrastanti. Da un lato, il senso di frustrazione per le sue potenzialità inespresse e per le opportunità sprecate; dall’altro, l’ammirazione per quelle realtà che, nonostante tutto, cercano di resistere e cambiare le cose. Ogni piccolo esempio di legalità, ogni giovane che decide di rimanere per investire nel territorio, ogni associazione che si impegna per educare alla responsabilità civile è un atto di speranza.
Per rompere questo ciclo, serve una rivoluzione culturale che non può essere affidata solo alla politica o alle istituzioni. Deve partire dalla scuola, dalle famiglie, dalla società civile, che devono insegnare ai giovani il valore del rispetto delle regole e della legalità. Senza un cambiamento radicale nelle mentalità e nei comportamenti, la Calabria continuerà a essere vittima di sé stessa, prigioniera di un passato che non riesce a superare.
La Calabria ha tutto per rinascere: risorse naturali, una cultura millenaria e, soprattutto, una popolazione resiliente e determinata. Ma per farlo, deve liberarsi delle sue catene, scegliendo finalmente di combattere il sistema che la opprime dall’interno. Solo allora il futuro sarà all’altezza della sua storia.
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