di SERGIO DRAGONE
Può avere molti significati – e ognuno può darne una lettura diversa – quell’aggettivo/participio passato, “perduta”, che Marcello Furriolo ha applicato alla nostra Città, facendone il discusso titolo della sua bella raccolta di mini-saggi apparsi negli anni sui principali quotidiani calabresi.
“Perduta” può significare, secondo Treccani, qualcosa che non si possiede più. Oppure qualcosa che si è esaurita e consumata. Ma può avere anche un significato morale, indicando qualcuno o qualcosa che si è bruciato, corrotto, sbandato. E può anche descrivere un amore assoluto in cui perdersi. Il maestro Franco Battiato, in uno dei suoi versi più belli, diceva: ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo.
Io credo che nella Città perduta di Marcello Furriolo ci sia un po' tutto questo. Sicuramente la nostalgia per un mondo che non esiste più e che non tornerà mai più. La Catanzaro mirabilmente descritta da Umberto Bosco, quel piccolo mondo antico fatto di valori e sentimenti, scanditi dalle campane che suonano a distesa la domenica mattina.
Ma anche la Catanzaro degli anni Ottanta, che ha visto Marcello Furriolo protagonista indiscusso di una stagione irripetibile di grandi sogni e di visioni, non esiste più, se non nelle tracce un po' spente e usurate di grandi opere come il Teatro Politeama, il San Giovanni, piazza Matteotti, la funicolare.
In questo libro – che merita di essere letto da tutti, perfino nelle scuole per il suo alto valore pedagogico – c’è anche un ironico e ben descritto riferimento ai peccati capitali di questa nostra Città, tra cui primeggia l’invidia che ha sempre costituito il principale ostacolo alla crescita della comunità. E questo è il significato “morale” dell’aggettivo/participio passato che dà il titolo al libro.
Ma il significato di “perduta” che emerge con maggiore prepotenza è, a mio parere, quello dell’amore smisurato che Marcello Furriolo prova per la sua Città, alla quale, nell’arco di molti decenni, ha dato molto come politico, amministratore, uomo di cultura, giornalista, non sempre ricevendo la meritata riconoscenza. Catanzaro è stato, per Marcello, un incantesimo in cui perdersi.
Un amore così intenso che gli consente, sia pure all’interno di un ragionamento molto critico e in parte rassegnato, a coltivare la segreta speranza di un riscatto politico, sociale e culturale della Città che Filippo Veltri, autore della prefazione, definisce seccamente “il Capoluogo del Nulla”.
E’ una Catanzaro alla ricerca del tempo perduto, se vogliamo continuare a giocare sul significato di questo controverso aggettivo/participio passato.
All’indomani delle elezioni regionali di ottobre, che hanno letteralmente cancellato la rappresentanza catanzarese nell’assemblea legislativa calabrese, scrissi un commento dal titolo malinconico e preoccupato: Catanzaro, crepuscolo di un Capoluogo.
Fui tempestato dai messaggi e dalle telefonate, tra cui quelli dell’attuale sindaco Nicola Fiorita e di Marcello Furriolo che insisteva sulla necessità di portare più a fondo l’analisi che avevo stimolato in maniera provocatoria.
Dal crepuscolo di un Capoluogo alla Città perduta dopotutto è un passo. Sono analisi che nascono dalla mente, ma soprattutto dal cuore.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro al nuovo sindaco Nicola Fiorita che, peraltro, viene citato nel capitolo “Blocco 52” come autore del collettivo Lou Palanca.
Vi troverà le ragioni e le motivazioni per portare avanti il suo difficile lavoro, nonché preziose indicazioni per tentare di sanare i mali della Città. Preziose perché vengono dal sindaco più capace, moderno, innovativo, visionario che la Città abbia mai avuto. Nonostante i suoi insopportabili difetti.
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