Il ministero della Giustizia è stato condannato anche in Cassazione al risarcimento del danno in favore della moglie e dei quattro figli di Salvatore Giofrè, 50 anni, di San Gregorio d’Ippona (Vv), morto suicida nel carcere di Vibo Valentia il 29 giugno del 2008. La Suprema Corte ha infatti rigettato il ricorso del Ministero confermando la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro emessa nell’agosto del 2021. Si tratta di una sentenza in parte storica, attesa la cifra consistente del risarcimento (168. 250,00 euro in favore di ciascuno degli appellati), ma soprattutto la condanna del ministero della Giustizia. I giudici hanno quindi accolto il ricorso presentato dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Nicola D’Agostino. Salvatore Giofrè, sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, ritenuto contiguo al clan Fiarè-Gasparro-Razionale, era stato arrestato il 28 giugno 2018 con l’accusa di violenza sessuale ai danni di un’anziana di 76 anni di Maierato. In carcere non aveva retto alle infamanti accuse che gli venivano mosse al punto da togliersi la vita.
Il ministero della Giustizia è stato condannato per omessa vigilanza in quanto anche il pubblico ministero, all’atto della custodia cautelare di Salvatore Giofrè, aveva espressamente statuito che fosse detenuto in “regime comune” in modo da impedire i suoi intenti suicidi o comunque renderli più ardui per la presenza degli altri detenuti. Il detenuto non è stato invece sottoposto ad alcuna osservazione funzionale a verificarne la capacità di affrontare adeguatamente lo stato di restrizione, non essendo presenti, all’atto del suo ingresso in carcere, né lo psicologo né l’educatore.
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