Talerico: "Le città e il fascino delle illusioni della sinistra"

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  08 novembre 2025 11:41

di ANTONELLO TALERICO*

 C’è un fatto curioso — ma neanche troppo — che si ripete puntuale come le stagioni: anche le grandi metropoli finiscono sempre in mano alla sinistra. New York, Parigi, Londra, Milano… cambiano i sindaci, ma la musica resta la stessa. Dove c’è potere, visibilità, influenza, c’è sempre la medesima ideologia. E non è una coincidenza: è un disegno.

Le città moderne non vivono più di produzione, ma di rappresentazione. Non costruiscono più, ma comunicano.  Sono diventate industrie dell’immagine, laboratori del consenso, vetrine dove si vende il politicamente corretto come fosse progresso. E la sinistra, su questo terreno, ha una specializzazione antica: promettere virtù in cambio di risultati. Si vende moralità invece di efficienza, si distribuisce “inclusione” al posto del lavoro, si produce solidarietà a orologeria. E il pubblico applaude, convinto di assistere al progresso, mentre in realtà assiste a una raffinata forma di assistenzialismo di ritorno.
Perché, nelle metropoli, la realtà non si vive: si racconta. E quando si governa raccontando, prima o poi il racconto va in frantumi.

A New York la criminalità è tornata a livelli da anni ’90; a Parigi interi quartieri non rispondono più alla legge dello Stato ma a quella del branco; a Londra la sicurezza è un ricordo del passato; e a Milano, tra affitti da rapina e cantieri infiniti, ci si consola con la parola magica: inclusione. Il punto è elementare: più una città dipende dallo Stato, più vota a sinistra. Chi vive di bandi, fondi, progetti e bonus non ha alcun interesse a cambiare le regole. Perché chi si nutre del sistema non vuole la libertà: vuole la rendita.

E così le città diventano apparati pubblici travestiti da democrazie urbane, con una popolazione che scambia la dipendenza per civiltà. Ma questo gioco, alla lunga, si paga. Perché senza chi produce, senza chi rischia, senza chi crea valore vero, la ricchezza evapora. E quando finisce la ricchezza, non resta più nemmeno la narrativa. Solo il silenzio, e qualche hashtag dimenticato. Le metropoli si sono trasformate nei santuari del pensiero unico: predicano la diversità ma non tollerano il dissenso.
Si riempiono la bocca di libertà, ma pretendono l’allineamento. Sono le capitali del consenso apparente, dove la realtà è solo un fastidio da gestire. Eppure — come insegnava qualcuno che di potere ne capIva — i sistemi chiusi finiscono sempre per collassare sotto il peso della propria perfezione. Così sarà anche per le grandi città: quando il racconto non basterà più, serviranno i risultati. E lì, il bluff verrà scoperto. Le metropoli oggi brillano, ma di luce artificiale. E, come tutte le luci finte, prima o poi si spengono. La domanda è: chi avrà il coraggio di riaccenderle? Tutti noi abbiamo un obbligo verso le future generazioni a cui stiamo lasciando una società povera ed insicura : reagire e avviare quel processo di cambiamento concreto che trova la sua ninfa proprio nella politica del passato.

*Consigliere Comunale Catanzaro 


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