Leo: "Trent’anni fa l’assassinio di un promotore di pace, Yitzhak Rabin"

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  04 novembre 2025 07:32

 di MARIA GRAZIA LEO 

Perdonatemi se non parlerò di pace. È di mio nonno che voglio parlare”. Il suo “Saba” morto trent’anni fa per la pace. “Nonno, sei stato la colonna di fuoco davanti all’accampamento ed ora siamo rimasti soli nel buio e abbiamo freddo e siamo tristi” Quel nonno, quel generale, quell’ambasciatore, quel primo ministro, quel premio Nobel, martire di pace si chiamava Yitzhak Rabin. E quelle prime parole su evidenziate sono state proferite da sua nipote Noa, in occasione dell’orazione funebre svoltasi in suo onore il 6 novembre del 1995 a Gerusalemme- sul monte Herzl- luogo in cui il primo ministro d’Israele trovò il suo riposo e la sua pace eterna.

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La sera del 4 novembre -a Tel Aviv - alla fine di una immensa e sentita manifestazione tenutasi a sostegno del processo di pace, avviatosi a seguito degli accordi di Oslo del 1992/93 tra israeliani e palestinesi, il premier dello Stato ebraico, Yitzhak Rabin, veniva barbaramente ucciso da un colono ebreo- Yigal Amir- un fanatico estremista di destra che era fermamente contrario alla pace tra i due popoli e alla conseguente creazione di un libero e autonomo Stato di Palestina.

Quella sera, quegli spari assordanti spezzarono le ali di una delle colombe di pace portanti, più preziose ed essenziali al conseguimento del processo di pace in corso, raggelando non solo quella piazza ma l’intero paese e rattristando tutto il mondo che in quella figura aveva riposto fiducia e ritrovato una giusta e solida garanzia per porre fine ad uno scontro millenario che aveva causato sangue, lutti, sofferenze, odio, diffidenze e paure reciproche nel vivere in territori contesi, in continua insicurezza e incertezza, per il solo fatto di non trovare la forza, la volontà, il coraggio e l’umana umiltà di riconoscersi a vicenda, con dignità e rispetto reciproco. Ma non spezzarono e spensero la speranza di quel sogno di pace, che Rabin, il suo ministro degli Esteri - Shimon Peres, e il leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) - Yasser Arafat - avevano iniziato ad imbastire per trasformarlo in realtà, con dedizione, pazienza e forza d’animo contro ogni avversità e ostacoli che c’erano e si annidavano in entrambi le parti coinvolte. Iniziarono a farlo a partire dai primi incontri segreti, poi resi pubblici, che si svolsero ad Oslo nel 1993, sotto l’impulso degli Stati Uniti d’ America, ed il ruolo di mediatore adottato dalla Norvegia, anche se i primi incontri finalizzati all’apertura di una seria trattativa avvennero a Londra nel 1992. Da qui la definizione di “Accordi di Oslo” che vennero poi ratificati solennemente a Washington- nei giardini della Casa Bianca- il 13 settembre del 1993, alla presenza del Presidente degli USA, Bill Clinton e di tante altre autorità politiche e diplomatiche, oltre che dei protagonisti principali su nominati.

Una giornata storica, che a nostro parere non può e non deve essere messa nel cassetto dei bei ricordi interrotti e offuscati dalla mano criminale di un fanatico estremista di destra, annebbiato dalla sua religione o dal suo credo politico ortodosso e pieno di pregiudizio, ma che dovrà invece restare come modello e fonte di ispirazione per rivitalizzare -oggi- quel lavoro di costruttori di pace per un Medio Oriente che dopo il pogrom del 7 ottobre del 2023 in Israele e la distruzione di Gaza due anni dopo, avrebbe urgentemente bisogno di vivere- pacificamente – e finalmente in serenità e sicurezza. Sui contenuti di quell’accordo ci ritorneremo brevemente più tardi. Ora preferiamo rendere omaggio ad uno dei suoi artefici. Yitzhak Rabin, nato il 1° marzo del 1922 a Gerusalemme, proveniva da una famiglia dalle origini miste; la mamma era russa, ancorata agli ideali socialisti per i quali si batté fino alla rivoluzione del 1917. Poi delusa dall’esito politico prodotto dai bolscevichi, si trasferì nel 1919 in Palestina per trovare dei parenti e vi rimase per sempre. Partecipò con un gruppo di coloni ebrei alla costruzione di un Kibbutz e si dedicò al lavoro di infermiera nel soccorrere quella parte di popolazione, aggredita dalle violenze scoppiate contro di essa nel 1921. Il padre invece scappò dai pogrom ucraini e polacchi del 1918/21 che causarono la morte di 100.000 ebrei e a 15 anni sbarcò negli USA. Quando -nel 1917- gli alleati costituirono una Brigata ebraica per liberare la Palestina dall’occupazione turca, vi si arruolò e divenne subito un sionista. E fu a causa di questi scontri e uccisioni - sviluppatisi a Gerusalemme nel 1921- che Rosa Cohen e Nechemya Rabin si incontrarono, innamorarono e sposarono velocemente. Entrambi trasmisero al figlio Yitzhak i loro valori e ideali socialisti ed una educazione severa e rigorosa. È la stessa nipote Noah che in un libro a lui dedicato, racconta che non erano ammessi lussi, agiatezze, nessun eccesso consumistico. “Vantarsi del proprio denaro o dei successi personali era prova di debolezza di carattere “. Rabin venne cresciuto all’insegna di un sano e necessario pragmatismo, che in quei tempi era la regola di vita dei primi coloni ebrei. Aveva un carattere schivo, riservato; dall’espressione del suo viso, anche la timidezza traspariva con eleganza gentile. Nonostante fosse avverso nel mettersi in mostra e sotto i riflettori e cercasse di evitare il più possibile tutto ciò-alla fine- nel corso degli anni e a causa dei relativi successi e della stima riscontrata non solo nel suo paese ma tra le varie diplomazie e istituzioni internazionali, Rabin non poté sottrarsi- facilmente-a tutti coloro che nei vari consessi cercavano di avvicinarsi a lui, lodandolo o semplicemente per ascoltare il suo pensiero politico. Amava il calcio ed il tennis (sport quest’ultimo che praticava -pure- con la “sua” Leah) e quando c’erano le partite in Tv, si eclissava da tutto e da tutti; perfino alla sua adorata nipotina Noa, non rispondeva o lo faceva con distrazione o benevola distrazione. Era come se volesse ritagliarsi in quei pochi e brevi momenti di vita privata, un piccolo mondo tutto suo, un’oasi di svago e serenità rispetto ad una realtà che gli presentava una vita pubblica molto frenetica, portandolo a macinare e calpestare chilometri e chilometri di territori geopolitici, nelle numerose missioni militari e istituzionali. Ma questa riservatezza, intrecciata alla semplicità della sua persona non gli impedì di prendere -con trasparenza e fermezza - posizioni scomode, oppure valutare cose e fatti che riteneva irrilevanti o che non richiedevano di essere analizzati. Nel libro “Il dolore e la speranza”, Noa ci spiega perfettamente come reagiva il suo “Saba”: <<con un gesto della mano sapeva liquidare tutto quello che non era significativo e importante>>.

Da giovane aderisce al Palmach, un movimento clandestino sionista- nato prima dell’indipendenza- ed inizia a formarsi rivestendo il ruolo di militare e di un affascinante combattente. Il 1944 segna l’anno di svolta nella sua vita privata- sentimentale. La cornice di ciò è una gelateria di Tel Aviv, in cui Yitzhak incontra quotidianamente Leah, una bella ragazza immigrata dalla Germania, di famiglia benestante, che diventerà la sua amata sposa, amica e confidente, dalla quale non si separerà più fino a quel tragico sabato di novembre ‘95. Quegli anni sono stati itineranti e di transizione per gli ebrei; il 1948 sarà un anno storico, per quella popolazione errante, migrante per costrizione e sofferente nel mondo, poiché determinerà la nascita ufficiale dello Stato d’Israele.

Quando- alla fine della seconda guerra mondiale- le Nazioni Unite presero in mano la gestione della “questione” Palestina, si decise di intervenire con due risoluzioni del 1947 la n. 181, e del 1948 la n. 194, con le quali si interrompeva formalmente il mandato britannico su quella terra e 1) si divideva quel territorio in due Stati, tra ebrei e arabi, dalle stesse dimensioni; 2) Gerusalemme sarebbe diventato un corpo a sé, separato sotto un regime internazionale speciale; 3) si affermava il diritto dei rifugiati palestinesi di tornare nelle proprie case o nel caso non lo volessero fare di ricevere un risarcimento; 4) si prevedeva l’istituzione di una Commissione di Conciliazione allo scopo di promuovere la pace.

Sembrava tutto facile e semplice, ma la realtà apparve -subito- dal retrogusto amaro e ben diversa dai buoni proposti dell’Onu.

Israele accettò immediatamente il piano e con il presidente del Consiglio nazionale ebraico- David Ben Gurion- il 14 Maggio dello stesso anno, proclamò la fondazione dello Stato di Israele. Ma i paesi arabi (tra i quali ricordiamo l’Egitto- la Siria-la Giordania) non lo accettarono quel piano ed il 15 maggio del 1948 dichiararono guerra ad Israele. Questo è stato il primo conflitto che vedrà impegnato il soldato Rabin; quello in cui invece sarà più ricordato- nel ruolo di Capo di Stato maggiore generale- porterà il nome della “Guerra dei 6 giorni”, una guerra fulminea, rapida e netta, scoppiata tra il 5 e 10 giugno del 1967. In entrambi i conflitti, nonostante sulla carta il piccolo Stato d’Israele risultasse perdente, alla fine della storia-invece- risulterà vincente e allargherà i confini del proprio territorio rispetto a quello che aveva stabilito le risoluzioni ONU del 1947/48; così vennero allontanati da quei territori una parte di quegli arabi che vi vivevano, altri invece vi restarono. Nel 1967 Israele sempre aggredita dal mondo arabo, decide di annettere altri territori palestinesi; L’alta Galilea, il Golan, la penisola del Sinai, Gerusalemme est- proclamata capitale dello Stato ebraico- la Striscia di Gaza che era legata all’Egitto e la Cisgiordania annessa alla Giordania, iniziando -in queste ultime terre - a costruire insediamenti e strutture ebraiche, fino a giungere alla creazione di vere e proprie città. La reazione internazionale non si fece attendere e l’Assemblea delle Nazioni unite dichiarò quegli interventi militari illegali, e definì quei territori conquistati con il termine di “Territori occupati” in modo illegittimo.

Per il mondo arabo, quella sconfitta rappresentò un’umiliazione enorme non solo sul piano militare ma soprattutto sul piano politico e morale. Probabilmente questo è stato il momento più drammatico, in cui si fomentò, crebbe anche culturalmente e psicologicamente quel sentimento dell’odio più intenso, verso lo Stato d’Israele ed il suo diritto ad esistere, e, nei confronti degli ebrei come popolo. Dal lato Palestina era già nata da qualche anno un’organizzazione (Olp) avente lo scopo iniziale di cacciare gli ebrei e con l’obiettivo finale la liberazione di quella terra occupata, dandone un’identità nazionale e politica. Il suo ideatore, e presidente si chiamava Yasser Arafat.

Yitzhak Rabin, dopo essere uscito vittorioso dalla guerra dei 6 giorni, continuò la sua carriera spaziando in vari campi di azione. Passerà dai ruoli militari ai ruoli diplomatici e poi a quelli prettamente politici. Dal 1968 al 1973 diventerà Ambasciatore di Israele negli Stati Uniti d’America e nel 1974 fino al 1977 sarà il più giovane Primo ministro israeliano, che guiderà il governo -laburista- in quegli anni e segnerà il primato per essere stato anche il primo premier nato in quella Terra Santa. Si impegnò subito ad avviare primordiali trattative per raggiungere il disarmo con l’Egitto e la Siria ma non riuscì a portali a termine perché per uno scandalo finanziario riguardante il suo governo, dovette rassegnare le dimissioni, consentendo così -con le nuove elezioni- di aprire la strada della vittoria alla destra e nello specifico al partito del Likud. Il nuovo Premier Menachem Begin si dimostrerà più moderato e aperto ai rapporti di buon vicinato con alcuni paesi arabi tant’è che completerà il lavoro intavolato da Rabin e firmerà a Camp David, una delle residenze del presidente degli Usa- allora incarico ricoperto dal democratico Jimmy Carter- gli accordi di pace con il presidente dell’Egitto, Anwar Sadat. Entrambi i leader dei due paesi in conflitto, per il raggiungimento di questo straordinario traguardo furono insigniti del Premio Nobel per la Pace, solo che nel 1981 Sadat ne pagò le conseguenze di quel coraggio, venendo assassinato da alcuni militari egiziani, che lo ritennero un traditore.

Invece Begin, per fortuna non pagò con la vita ma quel Premio Nobel fu macchiato politicamente- nel 1982- dall’attacco di Israele al Libano e dai massacri di Sabra e Shatila. Se dal lato bellico il risultato fu una vittoria tattica, da lato politico fu una vera Caporetto per il governo di destra e per il premier che si dimise. In quegli anni 80 Rabin entrerà a fare parte dei successivi governi di coalizione- Likud e Laburisti- assumendo l’incarico di ministro della Difesa. E nel 1987 lo vedremo impegnatissimo, con il Primo ministro del Likud, Yitzhak Shamir nell’affrontare una lunga guerra delle pietre o meglio detta “Intifada” in cui i palestinesi adottarono vari modi per aggredire Israele, dal boicottaggio dei suoi prodotti alimentari, agli scioperi ma soprattutto furono i giovani palestinesi che con la “tattica” delle fionde iniziarono a bersagliare a colpi di pietre i soldati israeliani nelle zone occupate illegalmente, di Gaza e Cisgiordania. Un’altra via crucis israelo-palestinese che comportò complessivamente in 5 anni, da entrambi le parti oltre 2000 vittime, bambini compresi. Una via crucis che ebbe i suoi riflessi anche ed esclusivamente tra i protagonisti delle forze politiche israeliane di destra e di sinistra al governo, i quali sulla questione Palestina, sulla sua libera ed autonoma esistenza, sui possibili negoziati di pace, si contrapposero aspramente. 1) Il Likud non voleva avere rapporti con i terroristi palestinesi; 2) I Laburisti invece erano più aperturisti e favorevoli ad istituire una conferenza internazionale per la pace e ad aprire a trattative dirette con l’Olp.    

Il clima in quegli anni di Intifada era pertanto acceso e se c’era tanta tensione in Israele- in parallelo- cresceva anche la voglia di imprimere una svolta positiva ad una situazione per lungo tempo intrisa di violenze e insicurezze, nella vita quotidiana. Si voleva respirare ‘aria’ nuova, dal profumo di Pace. E quella svolta tanto desiderata nel profondo dell’anima del paese, arriva nel 1992, quando Yitzhak Rabin dopo essersi assicurato la leadership del partito, nelle primarie contese all’ultimo voto con lo sfidante e rivale laburista Shimon Peres, stravolge tutti i pronostici, rispetto a tutte le aspettative. In molti consideravano finita la sua carriera politica ed invece alle elezioni risulterà ancora vincente; gli si offrì ancora un’altra possibilità. Pertanto diventerà di nuovo Primo ministro del governo di Israele, e chiamerà al suo fianco come ministro degli Esteri un altro uomo di pace, Shimon Peres. Come abbiamo già descritto brevemente -all’inizio di questo articolo- entrambi perorano e condivisero i sotterranei incontri e le prime riservate trattative per la pace, con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, fiduciosi di un buon esito. Rabin con la sua autorevolezza, con il suo “vestito” pragmatico ed il suo bagaglio di vita militare, diplomatica e politica ci mette il carico da undici, riuscendo ad arrivare -quel 13 settembre del 1993- alla Casa Bianca e firmare solennemente i primi accordi di pace, di Oslo o per meglio dire le “Dichiarazioni dei Principi riguardanti progetti di auto-governo ad interim”, insieme al leader dell’Olp Yasser Arafat, con la “benedizione” del Presidente degli Stati Uniti, il democratico Bill Clinton. I punti cardine erano: a) il riconoscimento reciproco tra Israele e l’Olp; b) il ritorno ai confini delineati prima della guerra del 1967; c) la concessione di una prima parte del territorio della Cisgiordania ai palestinesi per giungere gradualmente alla costituzione di una Stato effettivo in quella terra; d) la stessa impostazione venne adottata per Gaza con tempi più dilazionati, in 5 anni; e) il ritiro dell’esercito israeliano da alcune aree di Gaza e Cisgiordania; g) la creazione di un Autogoverno-temporaneo a guida palestinese ( Anp). Tutto il resto, dallo Status speciale di Gerusalemme, al diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, al tema/problema degli insediamenti dei coloni israeliani, sarebbe stato negoziato successivamente.

Negli anni che seguirono dal 1993 al 1995, gli incontri tra Rabin e Arafat si svilupparono all’insegna di una maggiore fiducia e rispetto reciproco, oltre che con un più sciolto e disteso rapporto personale. Al momento della firma, rievocando i racconti della nipote Noa, seguirono le strette di mano di circostanza che non arrivarono con tanta disinvoltura da parte del nonno. Non era facile stringere la mano ad un terrorista che si era macchiato di tanto sangue nei confronti dei cittadini israeliani, e che il generale Rabin, in divisa, aveva combattuto. Non era facile per nessuno, soprattutto per una personalità dalle poliedriche funzioni pubbliche, alle quali era stato chiamato ad adempiere, al servizio del Paese. Di Arafat diceva: << Quell’uomo non è mio amico, è il nemico con cui devo fare la pace per il bene di Israele>> Ma la storia lo stava chiamando, lo stava sfidando a compiere quel semplice gesto simbolico ma certamente significativo per entrare nel “Pantheon” dei promotori e dei protagonisti di pace. Probabilmente Rabin, quel richiamo -nel suo inconscio- in quei secondi frenetici ed emozionanti dell’attesa, lo sentì forte e convincente… e quella stretta di mano pur con la sua timidezza nascosta, arrivò. Ma per chi non riuscì a leggere bene e a cogliere al volo l’importanza di quell’atto, subentrarono le sue parole-toccanti- che scandì in quell’occasione, direttamente al popolo di Palestina: <<Noi che abbiamo combattuto contro di voi, palestinesi, oggi vi diciamo con voce alta e chiara, basta con il sangue e con le lacrime…non nutriamo odio verso di voi. Non abbiamo alcun desiderio di vendetta…noi- come voi- vogliamo costruire una casa, piantare un albero, amare, vivere al vostro fianco, con dignità e comprensione, da esseri umani, da uomini iberi; per tutto c’è un tempo, per uccidere e per curare…per amare e per odiare, per la guerra e per la pace!>>

Avremmo voluto concludere qui e così, in modo festoso e gioioso il ricordo di un coraggioso e valoroso uomo e politico internazionale. Mai avremmo potuto e voluto immaginare di finire il racconto con sentimenti di tristezza e commozione, per l’infausto destino che la sera del 4 novembre del 1995 -a Tel Aviv- la piazza Malchel Israel (poi diventata Kikar-piazza Rabin) riservò ai suoi cittadini e al mondo intero. Una mano, un’altra mano, quella di un estremista di destra israeliano, che non accettava quel “basta con il sangue e basta con le lacrime”, provò ad entrare in scena negli annali di “una storia”, sì, ma di quella più barbara e terribile che non gli attribuirà certamente onore. Sparò due colpi -mortali- carichi di astio, rancore, disappunto verso il Primo ministro Yitzhak Rabin, considerato come Sadat in Egitto, un traditore del proprio paese. Ma quel sangue versato non fermò il processo di pace che a fatica proverà a rimettersi in piedi, con Shimon Peres che prenderà il posto di Rabin fino alle nuove elezioni del 1996. Da quel momento in poi con la vittoria del Likud, salirà in cattedra un Premier, un politico, che conosciamo bene e che è ancora oggi in carica-dopo alcuni brevi intervalli di governi di coalizione- Benjamin Netanyahu. Egli ha sempre avversato e osteggiato tutti i tentativi possibili di portar a compimento ciò che Rabin aveva seminato con passione, pazienza e determinazione. Per dovere di informazione ci furono -successivamente- due occasioni che potevano essere prese in considerazione per raggiungere la pace; nel 2000 con un esponente laburista, Ehud Barak a guida del governo israeliano e nel 2008 con Ehud Olmert leader del partito centrista Kadima. Ma nel primo caso quando viene proposto al presidente dell’Olp, Arafat, un’autonomia palestinese nel 97% della Cisgiordania, con Gerusalemme est come capitale, egli insiste sul diritto al ritorno di migliaia di profughi distribuiti in tutto il Medio Oriente, nelle case dei loro avi, in Israele, Barak non può sottoscrivere l’accordo. Nel secondo caso, morto Arafat ,il suo posto sarà “ereditato” da Mahmoud Abbas, a noi meglio conosciuto come Abu Mazen, che si distinse per le sue doti pragmatiche e meno ideologiche, tant’è che si era sul punto di firmare ma entrambi i protagonisti erano in difficoltà perché si presentarono deboli alle trattative e nel tentare di sbloccare problemi come i confini e lo status di Gerusalemme; in Israele -inoltre- all’interno del governo c’erano divergenze di vedute e infine Olmert venne coinvolto in uno scandalo finanziario ed indagato per corruzione. Quindi -purtroppo- tutto si arenò, ancora una volta. Ad oggi come abbiamo potuto costatare la situazione è peggiorata di molto, con gli attacchi di del 7 ottobre del 2023 di Hamas ad Israele e la feroce e sproporzionata reazione di Israele sui civili di Gaza, ridotta in fiamme, in macerie e alla fame. È in vigore -da poche settimane- una flebile tregua o cessate il fuoco più che una pace stabile e duratura, promossa dagli Usa e dal suo presidente Trump, con il supporto di quasi tutti i Paesi arabi…ma restiamo tuttavia e tuttora prudenti per il futuro. Di certo se si riuscisse a riavvolgere il nastro delle trattative e ripartire da zero con razionalità, impegno, pragmatismo e con lo spirito di volontà che aveva animato i firmatari di un accordo di pace, concreto -quello del 1993- allora sì che si renderebbe veramente omaggio alla memoria e al sacrificio di Yitzhak Rabin, e la nascita di due Stati e due popoli -israeliani-palestinesi diventerebbe una bella realtà e un’aurora di gioia per tutti noi! Ma siamo consapevoli che ci vogliono leader con cuori e menti aperti, all’altezza delle sfide dei tempi, ma che finora purtroppo latitano e per questo ci fermiamo-sommessamente- qui, rimanendo e restando -però- “tenaci” e appassionati sognatori di Pace, sempre! Affermava Platone che :<< Non bisogna mai scoraggiarsi, perché anche nei mali più grandi, l’anima conserva la speranza del bene” E noi per il bene di Israele e conseguentemente della stessa Palestina, ci auguriamo che i cittadini alle elezioni politiche -che si svolgeranno nel novembre del 2026 -sapranno voltare pagina. Come potranno fare? Soltanto regalando a se stessi e al consesso internazionale un “nuovo” RABIN!

 

 

 


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