di FRANCO CIMINO
“Destre di tutto il mondo unitevi!” È questo il titolo rovesciato del vecchio appello di Marx, con previsione invertita in quel che appare il più grosso errore “ politico e sociologico” di un filosofo tra più innovativi della storia del pensiero moderno. Sta in queste cinque parole il vero significato del voto negli Stati Uniti. “ Questo è chiaramente il vero risultato di una campagna elettorale tra le più drammatiche della storia americana. E non per i toni accesi e volgari usati nello scontro tra i due contendenti, e neppure per il basso livello delle proposte, quasi inesistenti, messe in campo. Il vento di destra che sta soffiando da molto tempo in Europa e in altre regioni del mondo, aveva bisogno di una figura che lo chiudesse in un pugno e, tenuto chiuso, lo muovesse come ha già fatto Trump. Il pugno, però, accompagnato dal grido “ lottiamo, lottiamo”, il giorno dell’attentato e non quello esibito in uno dei suoi demenziali atti semicomici dall’esplicito richiamo hard. “ Il Capitalismo ha definitivamente vinto per il volto e la sua forza nuovi”.
Questa frase è mia. Non ha nulla di filosofico e assai poco di sociologia politica, tanto meno di nuova dottrina economica. É vero. Ma ha una sua forza che non è più il caso di sottolineare. La notte americana è ancora in corso tra le lacrime e le gioie contrapposte. Essa vede lo stesso scenario di tutte le altre campagne elettorali. C’è una piazza che si svuota mentre scendono le luci e gli operai la occupano ordinatamente per liberarla da palchi enormi e stand di birre e leccornie varie. Restano solo pochi giornalisti ad attendere l’arrivo della sconfitta, che non ci sarà se non dopo un giorno intero. A qualche “ metro” più avanti, questa volta a destra, un enorme salone, con cinquemila manifestanti, che attendono, tra musiche e canti e bandiere, il vincitore, che puntualmente arriva. Al silenzio della perdente, le sue nuove parole e un nuovo rituale. Sullo sfondo di un cielo messo a temporale il quadro luminoso dei risultati, ancora provvisorio ma chiaramente indicativo di un risultato straordinario. Ha vinto Trump, come era nelle previsioni, sia pure tutte adagiate sull’incertezza di numeri assai risicati e sui quali io avevo steso la mia insolita “ scaramanzia”, che era più una speranza, una sorta di invocazione al fato, che non una misura tecnica delle tendenze elettorali in avvicinamento alle urne.
La vittoria è straordinaria perché netta. È difficile ricordare un risultato simile nella storia elettorale americana. Vittoria netta. Trump stravince, non vince. In voti dei delegati. Il dato non è ancora definitivo, ma si calcola raggiunga la cifra storica dei trecentoventi, su cinquecentoquaranta dell’intera rappresenta dei collegi. Vince in voti popolari, con una percentuale che supera di gran lunga il cinquanta per cento, e un distacco, anche questo storico, di circa cinque milioni di voti. Vince la maggioranza al Congresso, la nostra Camera dei Deputati. E al Senato. Un en plein clamoroso, raro per i precedenti. C’è anche di più. A guardare la cartina geo-elettorale dei cinquantuno Stati in cui si rappresenta il paese più potente del pianeta, circa quaranta si colorano di rosso, per la vittoria anche in ciascuno di essi del partito Repubblicano. Qui mi correggo, per le conclusioni cui perverranno gli analisti sociali nell’analisi che faranno sulle modificazioni intervenute nei partiti. C’è confusione in ambedue, questo è evidente. La crisi di leadership, ne ha modificato il corso, l’orientamento, la capacità di visione del Paese e del mondo. Tutte quelle qualità che hanno fatto degli USA un punto di riferimento per tutti. Ma se il partito democratico può ancora riprendere le sue storiche idee e gli ideali che hanno acceso il suo cammino e le azioni dei suoi migliori, da Kennedy ad Obama, la stessa cosa non si può dire di quel che resta in immagine e struttura, del partito repubblicano.
I due storici partiti, sono stati sempre divisi su programmi e metodi di governo, ma mai sui principi costituzionali, sul senso dell’unità della Nazione e sul rispetto imprescindibile e totale verso le istituzioni, in particolare della presidenza della Repubblica. Il partito repubblicano, non è(e da oggi non lo sarà più), quel partito storico, che, nel bene e nel male, segnando continuità istituzionale, ha dato buona prova del suo impegno. Non è, e non sarà, un partito. È diventato il movimento elettorale, la cassa di risonanza, il megafono, di una sola persona, che ne ha preso il possesso, vincendo diffidenze e resistenze diffuse. Anche nel corpo storico della militanza. Oggi c’è un solo partito, granitico e monolitico, è quello di Trump, che se prendesse di lui il nome farebbe due cose in una. La coerenza rispetto alla realtà e la possibilità che da quella liberazione possa tornare il vecchio storico partito repubblicano. Evenienza, che farà anche bene al suo antagonista, o partito avverso, il quale potrebbe finalmente riprendere a discutere intorno alla sua crisi, valutando con maggiore attenzione, sincerità e rigore, i motivi che l’hanno portato alla più pesante sconfitta della sua storia.
L’America, tutta intera, non solo gli States, ha bisogno di un ritorno alla Politica, della Politica. E agli ideali, a confronto unificante, tra repubblicani e democratici. Ha bisogno di questo nuovo spazio in cui possano emergere leader nuovi. Veri. Capaci di prendere sulle spalle il Paese e per mano il mondo Occidentale. Per costruire la Pace. Invertire dunque, la tendenza in atto, ché questa America sta andando indietro. E non solo rispetto a sé stessa, ma alla storia. Alle necessità di questa sofferente umanità. Da qualche parte si deve pur partire. Questo punto non è opinabile. È quello del risultato elettorale. Questo. Dalla nuova presidenza. Questa. Dal nuovo presidente e dal suo nome, Donal Trump. Dal suo volto, con mimiche annesse. E dalla sua storia personale. Non secondaria l’ultima che lo sta vedendo(come potrà evitarla lo vedremo più avanti), impegnato in pesanti inchieste giudiziarie e in un processo quasi calendarizzato.
Lasciando perdere le brutte immagini e le pessime parole con i peggiori insulti verso gli avversari e la candidata democratica, quelle nuove di ringraziamento da presidente eletto non mi sono sembrate molto interessanti. Elogio prolungato della sua larga famiglia con accenti anche commoventi verso alcune figure, in particolare i genitori e la mamma di Melania scomparsa da poco. Hanno toccato pure me. La rinnovata promessa che salverà l’America per volontà di Dio, che l’avrebbe salvato dall’attentato. In essa quella più americana di tutte:” vi renderò felici”. E anche questa ci può stare nell’esaltazione della fatica vittoriosa. Quello che preoccupa è l’incertezza che si riverserà sul resto del mondo per l’affermazione di una destra, a mio avviso, pericolosa, che avrà negli USA, nel suo presidente, una forza pesante e unificante le tante destre che si stanno già muovendo altrove. Diverse per la loro collocazione geografica, ma eguali nella nuova cultura autoritaria che le ha pervase tutte. È una destra che ha la verbosità e la retorica di Trump, il pensiero economicostico e tecnicistico di Musk, che ne diventerà il vero ideologo e quindi il vero capo. Ha l’infantilismo espressivo e la scenica comicità di entrambi, la superficialità estrema della coppia operativa.
Dal nazionalismo, al sovranismo, dagli immigrati da respingere alla “ razza” dei padri da difendere, dal primato dell’interesse interno ai dazi e le diverse tasse da far pagare agli alleati, dalla paura dell’Europa al fastidio verso le democrazie tradizionali, dalla necessità di mettere ordine nella società minacciata dalla violenza alla cultura della difesa personale in armi, dall’indifferenza verso le istituzioni alle concezioni delle stesse come cosa propria, dalla devozione verso il popolo, se ci è“amico”, al nuovo principio della volontà elettorale che mette il potere e i potenti al di sopra degli organismi democratici e della Legge, per il quale non solo si è liberi e incolpevoli, sempre, ma autorizzati a fare liberamente la propria personale volontà e i propri sfrenati interessi. L’idea infine che chi vince le elezioni prende tutto, mentre la rappresentanza del paese, per decisione degli elettori, significa essere sé stessi(il capo, l’eletto, il governante) la Nazione stessa, poiché “ salvati da un Dio che assegnerebbe la missione specifica”. Questa la cultura della nuova destra. Non più, quindi, l’uomo forte, autoritario e assolutista, di memoria storica, ma l’illuminato. L’infallibile. L’ Eletto. Il divino nella storia. Questa destra rozza e autoritaria ha come primo nemico la destra liberale, che rischia di scomparire nelle società dove è presente e che sulla crisi dei partiti di sinistra e progressisti stava crescendo. È una destra, pertanto, ancora più pericolosa per il bisogno che la gente comune, quella più debole e povera, la parte più emarginata dai processi sociali, ha dell’uomo forte. Di colui il quale metterà ordine e disciplina dappertutto e con la forza eliminerà chiunque minacci la nostra sicurezza. L’uomo forte che distribuisce il sogno di ricchezza come le vecchie maestre le caramelle agli scolari buoni e ubbidienti.
Uno scenario inquietante che la storia ha già fotografato. Delle donne che hanno votato e simpatizzato per il tycoon, e sono tante, incredibilmente cresciute di numero dopo la sua affermazione, ho difficoltà a dire. Per quanto mi sforzi, davvero non mi riesce di comprenderle. Mi sorprende,invece, fino alla preoccupazione, l’euforia di tanti, che, probabilmente per giustificare l’accesa simpatia verso il neo inquilino della Casa Bianca, inneggiano alla sua capacità di realizzare la Pace dai diversi conflitti. In particolare, quello in Ucraina e in Medio Oriente. Che Trump arriverà sui due fronti per far finire una guerra che non può più reggersi su sé stessa, è la scoperta già avvenuta di Cristofaro Colombo. Per Libano e Striscia di Gaza, è quasi scontato per la totale distruzione da parte di Netanyahu, amico di Trump, di tutto ciò che vi si trovava dentro.
Per la minaccia dell’Iran, non c’è alcun bisogno, perché Teheran ha una “fifa” enorme di Israele e non muoverà più un proiettile dopo i colpi a salve sparati in queste settimane su Tel Aviv. Lo scenario ucraino, invece, si potrebbe rivelare drammatico per un intervento di Trump che mediasse sulle vecchie proposte avanzate già da Putin, suo altro “ amico”. Le conosciamo tutti: si chiuda il conflitto sul quadro realizzato dalla guerra mossa dal dittatore russo a uno Stato indipendente, e che vede la Russia occupare due regioni importanti non solo per la nazione madre, ma per gli equilibri internazionali. Lo sanno pure i bambini che gli ucraini non accetteranno mai una simile soluzione. A meno che non sarà abbattuto il loro governo e fatto “ ammalare” di raffreddore Zelensky. Cosa che gli Stati Uniti non potranno mai consentire. Almeno si spera. Come si spera, io stesso tra i primi, che il nuovo presidente degli Stati Uniti cambi radicalmente la sua identità politica, e di spirito pacifista e sentimenti democratici stupisca il mondo intero. Francesco, il Papà, ballerebbe con lui.
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