In ogni vicenda umana, sia essa un evento storico, una tragedia sociale o un piccolo gesto quotidiano, esiste sempre una figura apparentemente secondaria, eppure cruciale: quella dello spettatore. Troppo spesso questa figura è associata a passività, indifferenza, silenzio. Ma è davvero solo questo? O dietro al ruolo dello spettatore si cela una forza che, se attivata, può cambiare le sorti delle cose? Il silenzio, in sé, non è neutrale. Può essere una forma di rispetto, ma anche una complicità inconsapevole.
Quando si assiste a un'ingiustizia, a una discriminazione, o a un atto di violenza, il non intervenire non significa restare neutrali: significa lasciare campo libero a chi commette il torto. Il silenzio degli spettatori diventa allora un elemento determinante che legittima e rafforza l’azione degli oppressori. La storia è piena di esempi in cui l’inazione collettiva ha consentito l’espandersi di regimi, di disuguaglianze, di soprusi, e tutto ciò è avvenuto non solo per la volontà di pochi, ma per l’inerzia di molti. Tuttavia, gli spettatori non sono condannati alla passività. Possono, e devono, riconoscere il proprio potenziale trasformativo.
Essere testimoni implica una responsabilità morale. Quando gli spettatori decidono di agire, anche con piccoli gesti una parola detta, un’azione a difesa di chi subisce, una denuncia si rompe il meccanismo dell’inerzia e si riapre lo spazio della possibilità. Diventano parte attiva di una rete che non si limita a osservare, ma che partecipa, interviene, cambia le cose. Non si tratta di eroismo, ma di coscienza. Lo spettatore consapevole non è colui che si espone sempre in prima linea, ma colui che rifiuta l’alibi della distanza, che comprende che ogni situazione che ci interpella moralmente ci riguarda, anche se non ci tocca direttamente.
In un mondo dove le ingiustizie sono spesso rese possibili proprio dalla massa silenziosa che guarda e non agisce, la scelta di rompere quel silenzio può diventare un atto rivoluzionario. Per questo, è necessario smettere di considerare il ruolo dello spettatore come qualcosa di marginale. La società cambia anche e soprattutto quando chi osserva decide di non farlo più in modo passivo. Quando il pubblico si trasforma in coscienza attiva, allora la scena su cui si svolgono i fatti cambia radicalmente. Ed è proprio in quel momento che il silenzio smette di essere assenso e diventa parola, gesto, resistenza.
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