Tulelli: "Il ruolo delle emozioni nella genesi del comportamento criminale"

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  08 novembre 2025 10:54

di RITA TULELLI

Perché alcune persone, di fronte a un’ingiustizia o a una frustrazione, reagiscono con autocontrollo, mentre altre esplodono in un gesto violento o in un reato? La risposta, spesso, non si trova solo nella logica o nelle circostanze esterne, ma nel turbolento mondo delle emozioni. La rabbia è una delle emozioni più potenti e distruttive. In sé, non è negativa: serve a segnalare un torto subito, a difendere i propri confini. Ma quando non viene gestita o trova sfogo in modo impulsivo, può trasformarsi in aggressività criminale. Molti reati violenti dalle risse ai femminicidi nascono da un crescendo di frustrazione e risentimento che, senza un canale di elaborazione, esplode in modo incontrollato. Spesso chi agisce in preda alla rabbia non pianifica, ma “reagisce”, mosso da un impulso momentaneo. È la logica del “non ci ho visto più”. Meno visibile ma altrettanto pericolosa è la vergogna. Sentirsi inferiori, umiliati, “svalutati” agli occhi degli altri può generare un dolore profondo. Quando la vergogna diventa intollerabile, l’individuo può cercare di cancellarla con un gesto estremo: vendetta, violenza o dominio sull’altro.

Molti comportamenti antisociali nascono proprio da un tentativo disperato di riparare un sé ferito. L’aggressore, paradossalmente, non cerca solo di ferire l’altro, ma di recuperare una sensazione di potere e dignità che sente di aver perso. Tra le emozioni “sociali” più insidiose c’è l’invidia. È la frustrazione di fronte al successo altrui, la sensazione di essere esclusi dal benessere o dal riconoscimento che spettano ad altri. Nei reati economici, nelle truffe o nei furti, l’invidia può agire come una spinta sotterranea: “Se la società non mi dà ciò che merito, me lo prendo da solo.”
Non è un caso che in una cultura dove il possesso e l’immagine contano più che mai, l’invidia possa trasformarsi in una forma di rivalsa sociale. Il crimine diventa così un gesto di “pareggiamento”, un modo distorto per ristabilire una giustizia personale. Capire il ruolo delle emozioni nella genesi del crimine non significa giustificare l’atto, ma comprendere le sue radici.

La prevenzione passa non solo per le leggi, ma per l’educazione emotiva: imparare a riconoscere e gestire rabbia, vergogna e invidia fin dall’infanzia è uno degli strumenti più efficaci per ridurre i comportamenti antisociali. Dietro ogni gesto violento, c’è quasi sempre una ferita emotiva non elaborata. E forse la vera giustizia non nasce solo nei tribunali, ma nella capacità di curare quelle ferite prima che diventino pericolose.


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