di RITA TULELLI
Negli ultimi anni, la rete ha aperto spazi infiniti di libertà e connessione, ma anche nuove forme di abuso che si insinuano nella vita privata delle persone con devastanti conseguenze psicologiche e sociali. Tra queste, il revenge porn la diffusione non consensuale di immagini intime rappresenta una delle manifestazioni più gravi e subdole della violenza di genere online.Il revenge porn non è solo un attacco alla privacy: è una forma di controllo, di vendetta e di umiliazione pubblica. Nasce spesso da relazioni interrotte, ma si nutre del desiderio di annientare la libertà e la dignità della vittima. La digitalizzazione dei rapporti umani ha reso più semplice registrare, archiviare e condividere immagini private, trasformando un gesto di fiducia in un’arma. In un recente caso seguito dal nostro studio legale, abbiamo affrontato una vicenda complessa che intrecciava stalking, pornografia minorile e accesso abusivo a sistemi informatici. L’imputato, responsabile di una lunga serie di condotte persecutorie culminate nella diffusione di materiale intimo, è stato riconosciuto colpevole e condannato a diversi anni di reclusione. È stata una vittoria importante, non solo per la parte offesa ma per tutte le vittime che spesso non trovano il coraggio di denunciare.Quel processo ha messo in luce un punto fondamentale: la violenza digitale non è un reato “virtuale”, ma produce ferite reali. Le parole e le immagini condivise in rete non si cancellano con un clic, e le loro conseguenze possono segnare per sempre la vita di chi le subisce. Il Tribunale, nella sentenza, ha riconosciuto la gravità e la reiterazione delle condotte, rilevando come l’imputato avesse perseguitato la vittima anche nonostante precedenti provvedimenti restrittivi. Una decisione che segna un precedente significativo nella lotta contro la violenza online. Il revenge pornci impone di ripensare il concetto stesso di sicurezza digitale. Serve educazione affettiva, ma anche strumenti tecnologici e giuridici più efficaci per prevenire la diffusione di contenuti non consensuali. La legge punisce oggi con severità chi diffonde materiale intimo senza consenso, ma la vera sfida resta quella di creare una cultura del rispetto e della responsabilità digitale. La giustizia può e deve dare risposte, ma è la società nel suo insieme a dover cambiare sguardo: la libertà in rete non può mai trasformarsi nel diritto di violare l’intimità altrui.
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