di MARCELLO FURRIOLO
Non so se Ciro Indolfi, tra le tantissime riconosciute benemerenze, avrà anche quella di richiamare alla realtà gli ignari ballerini del Titanic, o i cittadini di Sagunto, come ci ricorda lucidamente l’amico Antonio Bevacqua. Anche se, per aprire uno squarcio allarmante sulla ormai lunga stagione depressiva che vive la città di Catanzaro e non solo l’Università Magna Graecia, non doveva esplodere, si fa per dire, la vicenda del grande cardiologo napoletano, Presidente dell’Associazione dei Cardiologi italiani, già professore ordinario dell’UMG di Catanzaro e oggi eccellenza a livello nazionale e internazionale, ingaggiato con intuito e destrezza nel team del Rettore Nicola Leone per la giovane Facoltà di Medicina dell’UNICAL di Cosenza, indirizzata verso grandi progetti, aperti alle innovazioni dell’Intelligenza Artificiale.
Infatti l’evidente disagio che, ormai da anni, pervade l’UMG è lo specchio riflesso della crisi di identità del capoluogo di regione, della sua classe politica e dirigente nella più ampia accezione, professionale, imprenditoriale, intellettuale.
L’ Università a Catanzaro è nata per l’impegno, la passione e l’entusiasmo di alcuni uomini illuminati e tenaci, Salvatore Blasco, Ernesto Pucci, Elio Tiriolo, straordinaria sintesi di buona politica e concretezza della società civile catanzarese. La nuova politica e l’attuale società civile non sono stati in grado di creare quel giusto raccordo con il mondo accademico, per esaltarne la funzione, ma anche per integrarlo realmente al territorio. Mentre, da parte sua, l’istituzione universitaria catanzarese, dopo l’entusiasmante avvio guidato dal giovane Rettore visionario Salvatore Venuta, si è rinchiusa in un aureo fortino, deriva assolutamente miope e isolazionista di quell’idea di campus, che avevamo assecondato in una visione strategica di “grande Catanzaro”, allora pensata sull’asse attrezzato di saldatura dell’area centrale della Calabria. Ben diverso sia dell’ attuale surrogato di “ area urbana ” che dello slogan elettorale della “Grande Catanzaro”. L’Università, la Facoltà di Medicina, ma anche di Giurisprudenza erano l’asse portante di un sistema immaginato al servizio dell’intera Calabria e integrato con la fervida realtà dell’Ospedale Pugliese e con la grande tradizione di cultura giuridica gloriosa e fiorente nel capoluogo. Purtroppo le cose non sono andate come si sperava: quell’idea impattava con la miopia e gli interessi particolaristici di una politica dei localismi, che cominciava a scontare il prezzo della falsa rivoluzione di una parte della Magistratura, l’abbattimento dei grandi Partiti come la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, l’avvento del populismo capace di avvelenare democrazia e progresso civile.
Oggi bisogna riavvolgere il nastro politico, sociale e culturale degli ultimi trent’anni e inquadrare lucidamente le vicende del territorio di cui sono interpreti il capoluogo di regione e la sua Università. Le scelte dell’amico Indolfi non possono essere la pietra dello scandalo o il risveglio nella notte per una classe politica, nella sua continuità, che ha assistito inerme al lento e progressivo allontanamento dell’UMG dalla traiettoria dell’innovazione e centralità nel campo della didattica, della ricerca e della cura. In questo senso era sbagliata la levata di scudi isterica ai primi segnali di smembramento della Facoltà di Medicina in favore dell’UNICAL e oggi di Crotone, non solo perché non ha prodotto alcun risultato, ma si è persa l’opportunità di ridisegnare un nuovo assetto regionale del sistema universitario, basato non sulla duplicazione dell’offerta didattica, ma sulla capacità di promuovere e attrarre le migliori risorse umane e scientifiche intorno a progetti finalizzati all’innovazione, alle vocazioni dei territori, alla domanda globale di saperi in grado di promuovere sviluppo e occupazione.
Non è una colpa se l’UNICAL ha storicamente, da Andreatta a Leone, interpretato da sacerdoti del sapere e del progresso questa missione, mentre dopo Venuta hanno lavorato per mantenere un decoroso status quo dentro il fortilizio.
Nè può dirsi che la colpa della spoliazione del Capoluogo di Regione e della sua Università sia del Governatore Roberto Occhiuto, di fede cosentina. Perché Occhiuto è alla guida della Regione da meno di tre anni, mentre negli ultimi 30 anni non sono mancati i Governatori di fede catanzarese, senza contribuire a frenare il processo di decadenza della città.
Se Catanzaro ha difficoltà a tutelare i propri gioielli, dall'Università al Centro storico, al Complesso Monumentale del San Giovanni, al Politeama, alla Sanità pubblica e Privata e perfino il suo Duomo, significa non che siamo alla fine della Storia, ma che occorre resettare ogni ragionamento sul ruolo della città all’interno della Calabria, che pure dovrà iniziare un nuovo racconto della sua identità. A partire, se necessario, proprio dal’UMG che dovrà avviare un grande ripensamento al proprio interno, con coraggio e onestà intellettuale, aprendosi al confronto senza infingimenti con le istituzioni e con il territorio, prendendo atto che così com’è finisce per servire poco alla causa della cultura, della scienza e della sanità e al futuro dei giovani calabresi. Sapendo che l’Università è patrimonio della migliore storia della città di Catanzaro e deve essere ancora decisiva per la sua rinascita.
In questi giorni il Consiglio Comunale catanzarese si sta svolgendo sulle colonne dei media, con libere e ingenerose esercitazioni al tiro a segno dell’UMG.
Ma la strada più giusta e opportuna rimane sempre quella del dialogo e del confronto.
Giovanni Cuda sa che non può alzare la bandiera dell’Autonomia mentre questa rischia di allontanare sempre più l’UMG dai grandi circuiti della didattica e della ricerca e sopratutto che, per sopravvivere ha bisogno di uscire dall’accampamento di Germaneto e conquistare la città.
Nicola Fiorita, senza volerlo, ha la grande opportunità di formarsi finalmente un’idea di città, di cui l’UMG può essere il cuore e il motore della rinascita.
Ci riusciranno?
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