di PAOLO CRISTOFARO
Ricorre oggi la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Alcuni giorni fa nelle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia, in particolare della IV sezione, alcune pagine erano dedicate a quelle donne, vittime di violenze fisiche e psicologiche, "incastrate" in contesti di 'ndrangheta, dove la paura - prima di tutto per i figli - la fa da padrona, rendendo difficili, insopportabili, talvolta opprimenti le loro esistenze stesse. Donne che spesso, per prime, cercano di rompere quel muro di silenzio per guardare oltre; per cercare oltre un futuro diverso, una libertà fuori dagli ambienti criminali, sottraendo i figli a quello che altrimenti sarebbe un futuro di paura, di incertezza, di errori, di strade sbagliate.
Relazionando in audizione per la Commissione, il magistrato Roberto Di Bella, attualmente presidente del Tribunale dei minori di Catania (già lo era stato a Reggio Calabria) mentre riferiva di questioni legate ai minori e al modo più idoneo per sottrarli ad ambienti malavitosi, ha fatto più volte riferimento alle esistenze difficili di questo donne, alle loro maternità all'ombra della 'ndrangheta, rese difficili in questi ambienti, dove l'amore per i figli può essere soffocato dalle circostanze. "Ci siamo trovati a intercettare un bisogno sociale, ovvero la richiesta di aiuto di molte mamme. Molte di queste donne sono provate da lutti, dalle carcerazioni loro e dei loro familiari. La criminalità organizzata provoca sofferenza soprattutto all'interno della famiglia oltre che all'esterno nella società", ha detto Di Bella.
A raccontare di queste dinamiche familiari è stato anche il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri. "Ad avvicinarsi alla Giustizia per prime, quasi sempre per amore dei figli o di qualcuno della famiglia, sono le donne", ha detto in più occasioni. Dello stesso avviso Di Bella. "Diverse donne, quando hanno capito che i nostri provvedimenti non erano punitivi ma a tutela dei loro ragazzi, hanno fatto un passo avanti, alcune sono diventate collaboratrici di giustizia proprio con l'obiettivo di salvare i figli", ha detto il magistrato. "Altre ci hanno chiesto di allontanare i ragazzi dalla Calabria o di essere aiutate ad andare via. Molte di esse non hanno rapporti di collaborazione e non possono portare apporti dichiarativi rilevanti alle Procure e per queste donne è spesso assente una rete di tutela", ha continuato in audizione.
Nei verbali della Commissione Antimafia viene anche ricordata la tristemente nota vicenda di Maria Concetta Cacciola, donna che aveva iniziato a testimoniare e a collaborare con la giustizia, ma che sotto pressione dalla famiglia di appartenenza, proprio per tramite dei figli, era stata fatta rientrare nella zona d'origine per poi morire, dopo circa un mese, ingerendo acido muriatico. "Si è suicidata o l'hanno suicidata", è scritto nelle carte dell'Antimafia.
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