di TERESA ALOI
Gli spari, le urla. Strazianti. E poi il silenzio e il dolore che diventa forza. E’ il 29 settembre del 1994. Chilometro 355 sulla vecchia autostrada Salerno Reggio Calabria tra gli svincoli Sant’Onofrio e Serre.
Sono le 22,30 quando un’auto affianca la Y10 che Reginald Green aveva noleggiato a Roma per proseguire verso la Sicilia, altra tappa italiana del viaggio della famiglia partita dalla loro casa di Bodega Bay, negli States.
Sul sedile posteriore dormono Nicholas, 7 anni e la sorellina Eleanor, di 4. Accanto a Reginal, la moglie Margaret. La loro auto scambiata per l’auto di un’altra persone e crivellata di colpi d’arma da fuoco. Uno di questi raggiunge il bimbo alla testa. Ricoverato al centro neurochirurgico del Policlinico di Messina morirà il primo giorno di ottobre del 1994.
Nicholas Green, 30 anni dall'omicidio: il processo, le condanne e l'innocenza sempre rivendicata
Trenta anni. Sono passati 30 anni da quell’agguato che sconvolse il mondo intero ma che quello stesso mondo lo cambiò. Perché da quel tragico evento nacque qualcosa che ridò vita e che ancora oggi continua a ridare speranza a chi l’ha persa o solo smarrita. Nicholas entra a pieno nella storia italiana. Diventa un simbolo. Ovunque. Quel consenso alla donazione, nella disperazione più assoluta, permette non solo di salvare la vita a cinque pazienti e restituire la vista ad altri due, ma contribuisce ad affermare il valore del dono in Italia. E così che le donazioni, prima al lumicino, diventano una pratica ricorrente. I donatori ad oggi, dopo 30 anni, sono quadruplicati. Migliaia di vite sono state salvate e centinaia fra scuole, parchi, edifici pubblici intitolati a Nicholas. Dove vivono i Green, negli Usa, è stata costruita la Children’s Bell Tower, un monumento dedicato a Nicholas e a tutti i bambini con più di 140 campane, la maggior parte donate da persone e famiglie italiane.
Le parole e l’esempio di Reginald e Margaret diventano pietre miliari. Testimonianze nella coscienza collettiva.
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