La grande lezione di Nicholas nella storia delle donazioni

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  01 ottobre 2024 11:48

di TERESA ALOI

Gli spari, le urla. Strazianti. E poi il silenzio e il dolore che diventa forza. E’ il 29 settembre del 1994. Chilometro 355 sulla vecchia autostrada Salerno Reggio Calabria tra gli svincoli Sant’Onofrio e Serre.
Sono le 22,30 quando un’auto affianca la Y10 che Reginald Green aveva noleggiato a Roma per proseguire verso la Sicilia, altra tappa italiana del viaggio della famiglia partita dalla loro casa di Bodega Bay, negli States.
Sul sedile posteriore dormono Nicholas, 7 anni e la sorellina  Eleanor, di 4. Accanto a Reginal,  la moglie Margaret. La loro auto scambiata per l’auto di un’altra persone e crivellata di colpi d’arma da fuoco.  Uno di questi raggiunge il bimbo alla testa. Ricoverato al centro neurochirurgico del Policlinico di Messina morirà il primo giorno di ottobre del 1994.

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Trenta anni. Sono passati 30 anni da quell’agguato che sconvolse il mondo intero ma che  quello stesso mondo lo cambiò. Perché da quel tragico evento  nacque qualcosa che  ridò  vita e che ancora oggi continua a ridare speranza a chi l’ha persa o solo smarrita.  Nicholas entra a pieno nella storia italiana. Diventa un simbolo. Ovunque. Quel consenso alla donazione,  nella disperazione più assoluta, permette non solo di salvare la vita a cinque pazienti e restituire la vista ad altri due, ma  contribuisce   ad affermare il valore del dono  in Italia. E così che le donazioni, prima al lumicino, diventano una pratica ricorrente. I donatori ad oggi, dopo 30 anni, sono quadruplicati. Migliaia di vite sono state  salvate e centinaia fra scuole, parchi, edifici pubblici   intitolati a Nicholas. Dove vivono i Green, negli Usa, è stata costruita la Children’s Bell Tower, un monumento dedicato a Nicholas e a tutti i bambini con più di 140 campane, la maggior parte donate da persone e famiglie italiane.
Le parole e l’esempio di Reginald e Margaret diventano pietre miliari. Testimonianze  nella coscienza collettiva.


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